Fake news e tecnologie: cosa possiamo imparare da una prospettiva storica

Una volta noi antropologi le chiamavamo leggende metropolitane, ora gli studiosi propongono di rinominarle leggende contemporanee, i più oggi parlano di fake news.

Nella rappresentazione dei media, le fake news sono spesso associate alla comunicazione nei social media, come se fossero un prodotto specifico di questa curiosa  civiltà della conversazione permanente in cui abitiamo. In realtà, per leggende contemporanee gli studiosi non intendono storie del presente, ma storie che sono credute come specifiche della contemporaneità da chi le racconta, anche se così non è.

In Miti Vaganti, Tommaso Braccini, docente di filologia classica e letteratura greca all’Università di Siena, ci mostra che la presunta “contemporaneità” delle fake news è anch’essa una notizia falsa e rientra nelle modalità con cui si cerca di accreditare una notizia come vera: raccontarla come qualcosa di unico e appartenente in qualche modo alla propria sfera di relazioni ed esperienze.

Tommaso Braccini ci accompagna in un bellissimo viaggio diacronico, mostrandoci che queste leggende credute vere, hanno una storia spesso di secoli o si presentano comunque con caratteristiche molto simili in epoche e culture molto diverse. Di volta in volta si adattano all’ambiente per apparire nuove di zecca. Braccini ci mostra che questi “ecotipi”, per essere colti nelle loro valenze, vanno studiati in modo diacronico , “perché anche le leggende contemporanee hanno un passato”. Senza inserirle in questa prospettiva storica, rischiamo di non coglierne neanche le funzioni attuali.

Tra i tanti miti vaganti ricostruiti da Braccini, tutti molto interessanti, c’è un ecotipo che riguarda le tecnologie che può insegnarci molto sulle resistenze all’attuale trasformazione digitale.

Sono storie che siamo abituati a pensare specifiche della nostra fase attuale di trasformazione e invece richiamano schemi secolari.

Braccini ci invita a cercare su google le  numerosi leggende contemporanee su innovazioni tecnologiche che avrebbero salvato l’umanità da malattie, povertà e misfatti vari ma sono state occultate per preservare il potere economico e politico di minoranze influenti. In effetti la lista è lunga. La pandemia da covid-19 ha dato il suo contributo nell’alimentare un immaginario variegato e colorato di teorie del complotto.

Braccini ci racconta che lo schema di questo ecotipo però non è recente ma è già in piena azione nell’antichità. La prima traccia scritta si ritrova nel Satyricon di Petronio, al tempo di Nerone. Il liberto Trimalchione racconta che un artigiano aveva portato in dono all’imperatore una coppa di vetro flessibile, l’aveva lanciata e ammaccata per poi ricostituirla integra con semplice martelletto.  Come premio per l’invenzione rivoluzionaria, l’imperatore fa giustiziare l’artigiano per proteggere il mercato dei metalli preziosi.

Questo spessore storico ci fa capire come l’azione del cosiddetto debunking rischia di essere una battaglia persa in partenza, come da anni dimostrano le ricerche di Walter Quattrociocchi e del suo team. Più efficace invece interrogarsi sui contesti, i bisogni e le emozioni che danno forza e rivitalizzano gli ecotipi. Gli stessi che rimpiangono la tecnologia occultata, possono essere, in modo del tutto ambivalente, coloro che rifiutano le tecnologie effettivamente disponibili, in un una visione  complottista su presunti centri di potere.

Vissuti emotivi contraddittori, il bisogno di presidiare l’incertezza, la tendenza a rafforzare l’identità del proprio gruppo sono spesso le fonti che alimentano le leggende contemporanea e su questo occorre lavorare per mitigarne la diffusione.