One Health: ripensare il rapporto tra natura, cultura e nuove tecnologie

L’Islandese di Leopardi dice alla Natura: “Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa”.

Gli Achuar dell’Amazzonia la vedono invece in modo molto diverso. Per questo gruppo,  la natura non esiste come entità separata. Umani e non umani sono rappresentati in un continuum. Questa osservazione ha portato l’antropologo Philippe Descola a rimettere in discussione l’opposizione tra natura e cultura, ridimensionandone la pretesa all’universalità e collocandola storicamente nell’Occidente cinquecentesco in cui si afferma  “una combinazione tra desiderio di conoscenza e desiderio di possesso”.

Scrive Descola in  “Oltre natura e cultura”, del 2005, ma tradotto in italiano nel 2021: “in numerose zone del pianeta, umani e non umani non sono percepiti come se evolvessero in mondi incomunicabili e secondo principi separati; l’ambiente non è oggettivato come una sfera autonoma; le piante e gli animali, i fiumi e le rocce, i fenomeni meteorologici e le stagioni non esistono in una stessa nicchia ontologica definita in virtù della sua assenza di umanità”.

Queste “ontologie” “animiste” e  “totemiche”, come le definisce Descola, che in passato potevano apparire irrazionali e mitologiche, sembrano essere molto vicine alla concezione contemporanea di “One Health”, che promuove un nuovo paradigma scientifico di interazione tra umani e non umani.  La “One Health” ci  porta a problematizzare non solo le modalità con cui conosciamo il mondo che ci circonda, ma anche le nostre azioni e il nostro impatto. L’antropologia può fornire in questo quadro un apporto fondamentale. Non si tratta di richiamare costrutti che non ci appartengono, ma di ricordare la varietà degli immaginari sul rapporto umani e non umani, per usarla come  “trampolino concettuale”  che ci  aiuta nel concepire  “alternative alle modalità di concepire il presente” (Descola)

Ma quanto questa idea di “One Health” è diffusa nelle rappresentazioni collettive? In Italia, nel 2023, appena usciti da una pandemia di origine zoonotica, ci rappresentiamo la natura come l’Islandese o come gli Achuar?

Insieme a Healthware Group e con il contributo incondizionato ma appassionato di Fondazione MSD, l’ESG Culture Lab che ho creato in Eikon Strategic Consulting Italia nel 2022, ha lanciato il One Health Project, con una prima grande indagine sulla conoscenza e il vissuto della One Health di un campione rappresentativo di popolazione italiana.

La ricerca sembra cogliere una fase di grande trasformazione del vissuto collettivo in cui coesistono rappresentazioni diverse. Un 35% si racconta soggetto alla natura, solo un 12% pensa di governarla e circa la metà del campione si distribuisce in modo uniforme tra chi pensa che gli umani siano natura e chi crede che la custodiscano.

Al contrario dell’Islandese, gli intervistati però spostano tutta la negatività sugli umani.  Le tre parole associate spontaneamente a umani, animali, piante e ambiente fanno emergere una forte colpevolizzazione. Nelle percezioni collettive, l'”intelligenza degli umani non li salva dall’essere “distruttivi”,“egoisti”,“cattivi” e “avidi”, in contrapposizione alla “natura” di animali e piante che ruota intorno ai valori positivi di amore”, “fedeltà”, “vita”, “bellezza”.

Questo pessimismo non si traduce però in una postura di passività o impotenza e trova al contrario nel paradigma della “One Health” una possibile risposta individuale e collettiva. Gli italiani non conoscono la definizione scientifica di “One Health”, ma sembrano condividere la visione animistico-totemica dell’interrelazione tra mondo umano e non umano.

L’83% degli intervistati non ha mai sentito parlare dell’approccio globale “One Health”, ma la visione di una sola salute è già fortemente diffusa: il 75% crede che il benessere di esseri umani, animali, piante e ambiente sia interdipendente. Gli esseri umani non hanno un ruolo privilegiato su animali e ambiente, per stare bene e sopravvivere dobbiamo preservare il Pianeta nella sua interezza. La “One Health” è vissuta come la giusta cura della casa comune.

Il questionario ha esplorato il profilo degli intervistati anche in relazione ad alcune dimensioni concrete: l’impegno in campagne pubbliche, le risorse per il proprio benessere, l’antibiotico-resistenza, la prevenzione di nuove malattie, la qualità dell’alimentazione. Le risposte rimandano a quattro profili: umanista, animalista, naturalista e astronauta.

Il 50% delle risposte delinea il profilo dell’astronauta, che guarda tutto dall’alto e si concentra sulle relazioni reciproche tra umani, animali, piante e ambiente, senza privilegiare un mondo rispetto all’altro.

Il secondo profilo prevalente è quello del naturalista, nella cui visione moltissimo ruota intorno a piante e ambiente (20% delle risposte). Solo il 17% delle risposte restituisce un profilo di umanista, per il quale gli esseri umani hanno un’importanza maggiore (17% delle risposte).

Questa visione è accompagnata da una forte assunzione di responsabilità soggettiva: il 62% degli intervistati si sente investito in prima persona dell’impegno in questo approccio sistemico. Per il 26% è una priorità della politica e solo l’11% ritiene che sia un problema della scienza. Il 48% degli intervistati si impegnerebbe in prima persona in una campagnaOne Health“, senza distinzione tra diritti umani, benessere degli animali e protezione di una foresta.

La quasi totalità conferma di volersi impegnare a cambiare il proprio stile di vita per il miglioramento della salute di tutti, con un 31% che è disposto anche a cambiamenti radicali per la salute di piante e ambiente.

L’indagine fa quindi emergere una rappresentazione negativa dell’azione umana ma anche la possibilità di un’inversione di rotta significativa con l’impegno di ognuno, nel quadro di un nuovo modo di vivere il rapporto tra umani e non umani.

Queste aspettative positive non escludono le tecnologie, come invece è successo in passato in altre immaginazioni ecologiche, che vedevano la tecnica come un nemico del rapporto armonioso con il mondo. Per il 55% degli intervistati le tecnologie digitali possono aiutare nel prendersi cura di una salute integrata e per il 33% diventeranno fondamentali per prendersi cura di umani, animali, piante e ambiente. Questo ottimismo tecnologico rappresenta una novità importante e costruttiva. Chi oggi si identifica e dichiara di volersi impegnare nella “One Health” sembra farlo in una prospettiva che non demonizza la “tecnica”, ma la considera un’alleata in una visione nuova di benessere condiviso, in un continuum umano-non umano.

Il One Health Project ha l’ambizione di diventare un punto di riferimento per questa visione e per la sua traduzione pratica non solo nei progetti medico-scientifici, ma nella coabitazione quotidiana di territori e comunità. Per questo, è già stato avviato un percorso di confronto e formazione che vede coinvolti gli  esperti ma anche associazioni e cittadini. Il percorso è digitale ed è aperto a tutti. Il prossimo appuntamento del 3 maggio approfondirà l’apporto delle tecnologie digitali, per rafforzare con dati ed esempi specifici, la percezione del valore di questi strumenti per una salute integrata.

I risultati della ricerca e la  survey sono a disposizione di tutti. Ognuno di noi potrà scoprire quanto è umanista, animalista, naturalista e astronauta e immaginare nuovi modi di connettersi con animali, piante e ambiente.