La mia “immaginazione” per il 2022: la casa digitale della salute

Non riesco a chiamarlo desiderio, neanche speranza o obiettivo, non  mi piace viverla come un’illusione. Un’immaginazione può inverarsi o può comunque essere da stimolo, senza che il suo non diventare realtà ne affievolisca la forza. Può essere una fantasia, ma anche diventare un progetto. Al centro della mia immaginazione c’è la casa digitale della salute.

Il PNRR parla sia di “Case della Comunità” che di “Casa come primo luogo di cura e Telemedicina”, considerandoli come due obiettivi e due filoni di spesa distinti, anche se interrelati. Ricordiamoci cosa viene scritto

  • La Casa della Comunità

“La Casa della Comunità diventerà lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali. La presenza degli assistenti sociali nelle Case della Comunità rafforzerà il ruolo dei servizi sociali territoriali nonché una loro maggiore integrazione con la componente sanitaria assistenziale. Il presente investimento agisce in maniera sinergica con gli investimenti 1.1 e 1.2 della Componente 2 della Missione 5. La Casa della Comunità è finalizzata a costituire il punto di riferimento continuativo per la popolazione, anche attraverso un’infrastruttura informatica, un punto prelievi, la strumentazione polispecialistica, e ha il fine di garantire la promozione, la prevenzione della salute e la presa in carico della comunità di riferimento. Tra i servizi inclusi è previsto, in particolare, il punto unico di accesso (PUA) per le valutazioni multidimensionali (servizi socio-sanitari) e i servizi che, secondo un approccio di medicina di genere, dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari secondo un approccio di medicina di genere. Potranno inoltre essere ospitati servizi sociali e assistenziali rivolti prioritariamente alle persone anziani e fragili, variamente organizzati a seconda delle caratteristiche della comunità specifica.

L’investimento prevede l’attivazione di 1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture già esistenti sia nuove. Il costo complessivo dell’investimento è stimato in 2,00 miliardi di euro”. (p. 225)

  • La Casa come primo luogo di cura e telemedicina

“L’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee). L’intervento si rivolge in particolare ai pazienti di età superiore ai 65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti. L’investimento mira a:

  • Identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione)
  • Realizzare presso ogni Azienda Sanitaria Locale (ASL) un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale
  • Attivare 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza
  • Utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche” (pp. 225-226)

Il percorso è progressivo e la data ultima è il 2026. I due filoni rispondono ad uno stesso obiettivo ma sembrano procedere su binari paralleli. Perché? Perché il 2026? Perché non possiamo costruirle subito digitalmente? Perché la casa come primo luogo di cura non può avere come riferimento la casa digitale della salute? Lo slittamento semantico da salute a comunità sembra solo voler nascondere le esperienze variegate delle case della salute. Ma i nomi non sono interessanti in questo momento. La priorità è avere il coraggio di utilizzare le tecnologie per costruire non nuovi muri, ma nuove culture organizzative e relazionali nella cura. Perché la casa come primo luogo di cura è solo per chi ha più di 65 anni? Mentre la casa della comunità ha un’attenzione specifica alle famiglie e alla salute femminile?

In un bellissimo tavolo della community Donne protagoniste in sanità, dedicato alle malattie vascolari e cardiovascolari abbiamo immaginato una casa digitale della salute femminile, in cui concentrare il team multidisciplinare in grado di guidare prevenzione e cura nelle diverse fasi della vita, con un approccio sistemico e bio-psico-sociale, capace di offrire interventi personalizzati e modalità di comunicazione e relazione che minimizzano la medicalizzazione e riducono la percezione di fatica della prevenzione.

Potremmo moltiplicare le case della salute centrandole sull’aggregazione dei servizi territoriali non in “case” fisiche, ma digitali. Potremmo farlo rapidamente, partendo non dalle tecnologie e neanche dai servizi, ma dalla formazione ad una cultura della cura partecipata e condivisa, abilitata dagli strumenti digitali. Cosa ce l’impedisce? Non ho una risposta.