Nel novembre 2019, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? A scoping review, a cura di Daisy Fancourt e Saoirse Finn, un’analisi dell’efficacia delle arti e dei percorsi culturali nel migliorare la salute e il benessere.
Una pubblicazione importante passata quasi inosservata tra i non esperti, nonostante la pandemia stia mostrando l’importanza delle pratiche artistiche per sostenere la resilienza.
Nel report OMS, alcuni paragrafi e fonti sono dedicati alla declinazione digitale delle arti nella cura, un’area ancora poco studiata.
L’accelerazione digitale generata dalla pandemia può rappresentare un’occasione importante per sperimentare nuove modalità di integrare salute, arte e digitale.
Insieme a un team multidisciplinare di psicologi, psicoterapeuti, medici, artisti, antropologi, filosofi, pazienti ci siamo interrogati in questi mesi sulle implicazioni del passaggio dall’analogico al digitale nei percorsi di supporto psicologico. Non è sufficiente sostituire l’incontro faccia a faccia con la videochat. Il cambio di setting determina infatti un cambiamento del rituale terapeutico che va problematizzato e innovato. Una sfida centrale è quella di capire come valorizzare l’interazione corporea in un contesto apparentemente senza corpo, come quello digitale. Alcune strategie di mitigazione esistono, provvisorie, ma anche utili a immaginare nuovi scenari phigital che consentano di valorizzare il meglio delle due dimensioni.
Da queste riflessioni è nato il progetto ReumArt, grazie all’entusiasmo esplorativo e contagioso di Antonella Celano, presidente di APMARR.
“ReumArt: la creatività come risorsa” è un progetto pilota per l’introduzione della Drammaterapia Integrata Digitale a supporto della persona con malattie reumatologiche e rare. Il progetto è frutto della collaborazione tra APMARR, DNM, la startup che ha ideato PsyDit, una piattaforma per percorsi psicologici digitali innovativi e CDI-NarrAzioni, il Centro di Drammaterapia Integrata creato da Sandra Pierpaoli, psicologa, psicoterapeuta e artiterapeuta. La partecipazione è totalmente gratuita grazie al contributo non condizionato di Pfizer.
Obiettivo del progetto è proporre un percorso di esplorazione e di attivazione delle proprie risorse creative, attraverso la percezione e l’espressività del corpo. Si tratta di una metodologia che aiuta a mobilitare le risorse interne per affrontare al meglio l’impatto della malattia e delle cure, facilitato dalla partecipazione ad un gruppo.
Sulla piattaforma digitale PsyDit, i partecipanti sono accompagnati “Nel giardino di cuori”, un giardino interiore da esplorare con i cinque sensi che permette di lavorare sul corpo, sulle emozioni e sulla crescita dell’individuo. Il percorso dura due mesi e prevede tre incontri di gruppo in modalità videochat di 2 ore ciascuno con frequenza quindicinale, stimoli narrativi multimediali tra un gruppo e l’altro, uno stimolo narrativo finale che facilita la costruzione di un prodotto multimediale, un incontro conclusivo di gruppo in videochat, che ha come scopo quello di riflettere sull’esperienza vissuta.
Durante il percorso, condotto da Sandra Pierpaoli, viene svolta un’osservazione clinica, mediante l’ausilio di schede di valutazione appositamente costruite, grazie alla presenza di Rossella Pazienza, psicologa e artiterapeuta. I dati raccolti saranno analizzati al fine di valutare gli effettivi benefici del percorso proposto e quindi la sua replicabilità.
“Siamo davvero felici di far parte di questo progetto pilota – ha sottolineato Antonella Celano, Presidente APMARR – perché da sempre sosteniamo che, per le persone con malattie reumatologiche e rare, il supporto e l’assistenza clinica non bastano: è necessario anche accompagnarle in tutti gli aspetti emotivi, relazionali e psicologici che possono davvero fare la differenza in un percorso di cura. Soprattutto nella difficile fase che stiamo tutti attraversando”.
Come racconta Sandra Pierpaoli che ha ideato Nel giardino di cuori: “durante il percorso vengono proposte esperienze immaginative, corporee, creative, narrative attraverso i cinque sensi, drammatizzazioni. Si parte dalla percezione del limite per trasformarlo in nuove possibilità, attraverso l’ascolto, l’appoggio, il rilassamento, in un clima di gruppo di non giudizio e fiducia, per andare a sollecitare e a sviluppare il potenziale creativo di ogni partecipante. Il proprio vissuto doloroso viene trasportato in altri linguaggi, espresso in simboli, con un piacere estetico associato alle musiche, ai colori e all’interazione nel gruppo. In un giardino ogni pianta ha il suo valore e ogni partecipante può andare a ritrovare una fiducia nel proprio corpo immaginandolo come pianta. Il giardino però è anche un ecosistema e in questo si valorizza l’importanza del gruppo. Ci sono poi altre metafore come le stagioni, la tempesta, il giardiniere che si prende cura. Per ogni patologia, vanno messe in campo metafore e simboli differenti.”.
ReumArt si svolge interamente in digitale. I partecipanti non si conoscono e sono di ogni parte d’Italia. Il percorso è iniziato ed emergono già alcuni aspetti fondamentali. Un aspetto centrale nei percorsi di drammaterapia integrata è sia l’uso del corpo, sia la mobilitazione del gruppo come, al tempo stesso, ancoraggio e moltiplicatore dell’esplorazione individuale. Due sfide significative per un’interazione interamente digitale, senza tatto. Un bell’articolo del Guardian si interroga sull’impatto del “tatto perduto” sulla nostra salute mentale. Alcuni studi parlano delle esperienze di “tatto vicario”, come possibilità di sentirsi toccati da un altro anche se a distanza. I primi incontri di ReumArt sembrano mostrare che queste esperienze sono possibili in un percorso digitale e possono potenziare di molto la possibilità di utilizzare le proprie risorse creative per affrontare al meglio un percorso di cura.
Per chi giustamente dubita della possibilità e dell’importanza del “tatto vicario” o del corpo digitale, aggiungo una nota personale. Mentre scrivo, realizzo per la prima volta che con Sandra Pierpaoli, con cui abbiamo ideato il percorso di drammaterapia digitale, non ci siamo mai incontrate offline. Non ci avevo mai pensato prima. Eppure mi sembra di condividere con lei non solo un progetto scientifico ma anche sguardi, posture, emozioni, ossessioni, tono di voce e gesti. L’empatia nel digitale è possibile, come ci hanno dimostrato negli ultimi anni le community online di pazienti, sta a noi reinventare percorsi di cura che la mettano al centro e non la marginalizzino in nome di una nostalgia della presenza.