“Il senso delle parole” nell’era della medicina digitale

Nel bel volume “Le parole della cura”, il filosofo Umberto Curi ripercorre l’origine etimologica e mitologica del lessico della salute, problematizzandone i significati e l’utilizzo.

Le parole hanno una vita oscura, nascosta dall’ovvietà del loro uso quotidiano. Questa vita contribuisce a influenzare il modo in cui percepiamo ed elaboriamo quello che ci accade e alimenta spesso emozioni fluttuanti e poco definibili.

Un esempio per tutti è quello delle parole paziente e malato che si fa tanta fatica a sostituire con persona. Come scrive Curi, paziente è “colui che sopporta, che subisce, che tollera”. Riporta quindi a “un’attitudine eminentemente passiva”. A sua volta il malato è “il portatore di un male”, con tutte le ambivalenze che questo significato veicola.

La potenza delle parole è dimostrata da studi scientifici importanti sugli effetti placebo e nocebo. Il neurofisiologo Fabrizio Benedetti nel  libro “La speranza è un farmaco”ci dimostra che le parole “inducono aspettative negative o positive. È perciò necessario capire come la semplice attesa della scomparsa del dolore possa generare veramente la sua reale scomparsa”. Oltre quindi ad influenzare percezioni ed emozioni, le parole nella cura possono agire anche come farmaci, attivando ad esempio nel dolore le stesse vie biochimiche della morfina.

Nonostante questo e nonostante l’importanza crescente della medicina narrativa, ancora nella pratica clinica il lavoro sulle parole è residuale, anche in contesti rilevanti come l’oncologia.

Per cercare di colmare questo vuoto, società scientifiche, associazioni, linguisti lanciano una consultazione online per problematizzare e ripensare il significato di un insieme di parole che normalmente vengono utilizzate in modo inconsapevole, generando ambiguità e difficoltà di comunicazione tra medici e pazienti.

Il progetto “Il senso delle parole. Un’altra comunicazione è possibile”, è promosso da Takeda Italia in partnership con AIL – Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma Onlus; AIPaSIM – Associazione Italiana Pazienti Sindrome Mielodisplastica; Salute Donna Onlus, SIPO – Società Italiana di Psico-Oncologia e WALCE onlus – Women Against Lung Cancer in Europe e ha il patrocinio della Fondazione AIOM.

Fino  al prossimo 8 novembre, sulla piattaforma web www.ilsensodelleparole.it, pazienti, caregiver e specialisti potranno indicare i significati che associano a un gruppo di 13 parole che declinano la relazione di cura in oncologia: prevenzione, diagnosi, tumore, prognosi, percorso, intervento, PET, metastasi, trattamento, remissione, recidiva, cronicizzazione, ricerca. Le parole sono state identificate da un gruppo di ricerca guidato dal linguista Giuseppe Antonelli,  sulla base dell’analisi del sentiment in rete, di focus group con medici e pazienti e di criteri lessicologici e sociolinguistici.

Sulla base dei risultati della consultazione, un board tecnico-scientifico costruirà un Dizionario Emozionale, cioè un Atlante delle parole chiave in oncologia con i significati condivisi tra specialisti e pazienti, da diffondere nei Centri oncologici e nelle sezioni delle Associazioni. Verrà anche  elaborata la Carta dei Bisogni Psico-sociali che sarà sottoscritta  da tutti i partner del progetto, per costruire un nuovo patto narrativo in oncologia che migliori  la qualità della relazione e del linguaggio.

Lavorare sul senso delle parole è particolarmente urgente in questa fase di accelerazione del processo di digitalizzazione della medicina. Le conversazioni in rete hanno contribuito a costruire una competizione sul senso delle parole che, da un lato, mitiga l’isolamento di chi affronta un percorso di cura, dall’altro rischia di aumentare la distanza tra medico e paziente. Costruire un linguaggio comune e condiviso diventa in questo contesto prioritario.

Un’altra sfida è rappresentata anche dal diffondersi della telemedicina. La costruzione di una relazione a distanza richiede la definizione di nuovi setting di cura e rende necessaria la reinvenzione del rituale dell’atto terapeutico. Nella relazione faccia a faccia, molte componenti diverse concorrono alla qualità della relazione: l’ambiente, la comunicazione non verbale, gli strumenti della cura, la visita come condensato di efficacia simbolica dell’atto di cura. Nell’interazione a distanza, le parole acquistano una centralità maggiore e diventano il mediatore fondamentale della relazione. Non è pensabile non porsi il problema del “senso delle parole” nei percorsi digitali, così come nella refertazione online.

Alberto Tozzi, responsabile della telemedicina al Bambin Gesù di Roma, nel libro “Impazienti. La medicina basata sull’innovazione” ricorda che  “usare il termine impazienti viene dal desiderio di superare i limiti ai quali spesso ci rassegniamo per ambire alla massima qualità delle cure”.

E’ bene essere impazienti di riportare al centro della relazione il senso delle parole, per lanciare nuovi paradigmi di cura nell’era digitale.