Si moltiplicano gli strumenti e le occasioni di approfondimento dell’impatto del digitale sulla salute. Un quadro articolato delle sfide e delle prospettive della salute digitale emerge dall’Executive Workshop Digital Health organizzato il 17 ottobre all’Università di Tor Vergata di Roma dal Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media in partnership con il Center for Digital Health Humanities ed AboutPharma. Ricche di spunti e informazioni anche le pagine centrali di Nòva di domenica 19 ottobre curate da Alessia Maccaferri e Francesca Cerati.
Proviamo a sintetizzare gli aspetti più significativi del workshop.
In apertura, Simonetta Pattuglia, Direttore del Master, ha ricordato l’importanza della categoria economica di co-produzione per interpretare e valorizzare l’interazione tra medici, pazienti, farmacisti, stakeholder in vista di una sanità condivisa e in grado di rispondere in sinergia e non in opposizione ai bisogni del paziente e al governo della spesa.
Io ho raccontato la rivoluzione digitale con lo sguardo del viaggio con la malattia. L’utilità, le opportunità, le difficoltà, le sfide del digitale sono associate alle diverse fasi dell’incontro con la malattia e ai riti sociali e personali di ingresso e uscita dalla malattia. Prima della malattia, la disponibilità di app e soprattutto del crowd caring delle comunità online facilita la prevenzione, ancorandola all’esperienza vissuta e al sostegno del gruppo. Al primo incontro con la malattia, la grande quantità di informazioni disponibili online e, in particolare, il repertorio di immagini a disposizione per vedersi nello schema corporeo di chi, da sano, diventa malato, ha un impatto significativo su come poi si racconta il disagio al medico e sulle aspettative di cura. Nel momento della cura, le discussioni online contribuiscono a determinare effetti placebo e nocebo dei farmaci. Quando la cura è per sempre, le comunità online offrono quel supporto che mai nessun sistema sanitario o network di care giver è mai riuscito ad offrire prima. La possibilità di restare connessi con relazioni e componenti importanti della propria identità anche da malati, facilita il reinserimento al momento dell’uscita dalla malattia. Ecco perché il wifi in ospedale è fondamentale.
Giulio Zuanetti di Wichtig Publishing sottolinea come il nuovo viaggio digitale del paziente abbia ancora un impatto marginale sui processi e le modalità che guidano le pubblicazioni scientifiche nell’area medica. Di fatto il processo è basato sul criterio del peer review e il digitale in questo ha portato maggiore efficienza, facilità e velocità ma non ad un cambiamento significativo di paradigma e prospettiva. Il fenomeno più innovativo è rappresentato dall’open access e dalla tendenza dei grandi finanziatori istituzionali a privilegiare questa modalità di circolazione delle informazioni, con un impatto importante sul futuro degli attori tradizionali. Zuanetti sottolinea anche il diffondersi di fenomeni di predator open access, riviste che cannibalizzano la credibilità e autorevolezza di testate importanti, diffondendo contenuti con livelli di qualità e affidabilità spesso dubbi.
Eugenio Santoro, dell’Istituto Mario Negri ha ricostruito l’uso nei social media in sanità sia con riferimento alle pratiche delle industrie farmaceutiche che ai progetti istituzionali. Iniziative, regolamentazioni, casi di successo, sperimentazioni tutti esempi tratti però soprattutto dal contesto americano. Un’interessante dimostrazione che in Europa e in Italia il percorso è ancora piuttosto incerto e confuso, sia sul fronte case farmaceutiche che dal punto di vista normativo e istituzionale.
Paola Aragno, co-founder del Center for Digital Health Humanities ha mostrato l’importanza del monitoraggio integrato del discorso mediatico e sociale prodotto online, offrendo alcune indicazioni chiare. 1) Non esistono solo facebook e twitter. Nell’area della salute sono molto più importanti i forum e le comunità online in cui si può osservare la patient experience con la patologia e il farmaco con un dettaglio mai disponibile prima. 2) A differenza di altre aree, nel monitoraggio online nell’area della salute il sentiment automatico rischia di portare ad errori macroscopici. Solo infatti l’osservazione e l’analisi manuale di una conversazione online può disambiguare un discorso sociale che è “scritto” ma ha tutta la complessità dell’oralità, ed è di fatto una neooralità, con registri ironici, cornici non verbali offerti da emoticon, immagini e video condivisi. Con difficoltà un software automatico di analisi del testo potrà dirci se potente per un farmaco, in una specifica conversazione, significa efficace o pericoloso o ha entrambi i significati.
Non è mancata la digital health intesa nel suo significato più noto e appetibile ai colossi tecnologici del momento. Daniele Bernardini, Product Supervisor di Samsung ha raccontato GEAR S, un orologio con sim integrata, pensato soprattutto per applicazioni in ambito sportivo ma che potrà diventare una wearable device al servizio della salute, già ora infatti consente di rilevare molti indicatori importanti con l’accelerometro e il sensore per il battito cardiaco.
Dopo il quantified self, ho proposto un cambio di sguardo introducendo il narrative self. Nel passato l’introduzione di nuovi strumenti tecnologici è stata accompagnata da fenomeni progressivi di standardizzazione e spersonalizzazione delle relazioni e delle cure. Anche il quantified self rischia di mettere al centro la malattia o l’indicatore biofisico invece che il soggetto. Il digital e crowd caring delle comunità online, rimettono però in primo piano anche il narrative self e la centralità delle storie per la cura. A differenza del passato, i cambiamenti attuali rafforzano gli approcci di medicina narrativa e di personalizzazione della cura. Il narrative self ci stimola allo sviluppo di app e tecnologie che nascano dalle storie, che nascano dalle persone e non solo dalla loro malattia, perché non esiste il malato ma una persona con una malattia.
Raffaele Cirullo, Head of Internal and External Media di Enel ha mostrato l’importanza nell’area della salute della cross-fertilization con modelli e pratiche di altri mercati. Cirullo ha raccontato il caso #GUERRIERI un progetto integrato di comunicazione e storytelling, dimostrando come una iniziativa di storytelling possa diventare un prezioso strumento di analisi per l’azienda e un contenuto innovativo per la pubblicità
Alessandro Sciortino, Creative Director di McCANN Rome, mostra il potenziale dello storytelling raccontando la campagna #IOESISTO per la Fondazione Telethon che ha lavorato proprio sul far vedere la persona, in un contesto in cui la malattia è rara e quindi socialmente invisibile. Il progetto ha consentito di raccogliere più di 30milioni di euro per 2 anni consecutivi.
Non sono mancati gli aspetti legali, in particolare quelli legati alla privacy, ricostruiti dall’Avvocato Arturo Iannelli, che ha ricordato una recente indagine del Garante della privacy da cui risulta lo scarso rispetto delle app mobili della legge sulla privacy, in primo luogo perché non consentono all’utilizzatore di capire come esprimere il suo consenso al trattamento dei dati e talvolta neanche glielo chiedono.
Il workshop è stato chiuso da Nicola Mattina, co-founder di Stamplay, che ha offerto una panoramica ampia delle app per la salute, mostrando come il mercato allo stato attuale sia dominato dalla wellness, con un coinvolgimento ancora marginale degli health provider.
Il workshop ha mostrato quindi uno scenario in grande movimento in cui ancora l’Europa si muove lentamente, anche se forse proprio questo ritardo può favorire un nuovo paradigma che integri in modo più efficace il quantified self e il narrative self.