INTERVISTA ALLA DOTTORESSA MARIA CRISTINA PETRELLA
Maria Cristina Petrella è Direttrice dell’Oncologia Medica Ginecologica presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze. Ha lavorato presso centri di eccellenza come l’Ospedale Gustave Roussy a Parigi e lo IEO di Milano occupandosi di tumori femminili ed in particolar modo di tumori ginecologici
Dottoressa Petrella, come è cambiato l’approccio alla cura dei tumori femminili con i recenti progressi nella medicina personalizzata?
Con l’avvento della medicina personalizzata e il miglioramento significativo delle terapie, abbiamo creato una nuova popolazione di pazienti oncologiche che sopravvive a lungo. In questo contesto, la qualità di vita assume un’importanza cruciale, sebbene sia stata spesso trascurata per mancanza di tempo, risorse, o perché considerata secondaria.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la qualità di vita comprende sia il benessere fisico che psicologico. Dobbiamo quindi considerare la paziente nella sua totalità: i suoi desideri, le paure, le relazioni e la quotidianità. Gli aspetti sociali, lavorativi e familiari sono altrettanto importanti quanto il trattamento stesso, e di questo ancora non c’è completa consapevolezza nei centri di cura.
Lei si sta impegnando da molti anni nelle terapie integrate. Qual è il vostro modello di cura?
È molto importante adottare un percorso focalizzato sulla qualità di vita da subito, prima ancora che si abbia l’impatto delle terapie, e continuarlo anche dopo che le terapie sono terminate. Nei casi migliori, nei centri oggi ci si limita a mitigare gli effetti avversi e le tossicità. Prevale un approccio reattivo e non proattivo. Noi invece puntiamo a prevenire e a valorizzare le risorse positive, per garantire il massimo di continuità possibile nella vita quotidiana della persona. Fin dalla diagnosi, educhiamo le pazienti ai trattamenti ed insegniamo loro a gestire i potenziali effetti collaterali coinvolgendo anche i caregiver.
Molte donne sperimentano una menopausa precoce a causa delle terapie, con i problemi ad essa correlati come aumento di peso e inattività fisica. Alle donne viene proposto tempestivamente la consulenza presso l’ambulatorio della menopausa oncologica che affronta anche gli aspetti legati alla sessualità, coinvolgendo attivamente il partner che rischia di rimanere un semplice osservatore della malattia. È fondamentale riconoscere come cambia la gestione della casa, della famiglia e dei figli, oltre al rapporto di complicità con la moglie o compagna. L’ambulatorio della menopausa oncologica garantisce anche una valutazione basale per rischio di osteoporosi e si avvale del servizio degli ambulatori del metabolismo osseo quando riscontrano condizioni patologiche.
Per contrastare effetti collaterali come nausea, ansia, effetti vasomotori della menopausa e neuropatia, offriamo ambulatori di fitoterapia ed agopuntura. L’efficacia di queste terapie integrate è massima quando vengono introdotte tempestivamente .
Grazie alla collaborazione con ACTO (Associazione Contro il Tumore Ovarico), offriamo programmi personalizzati di attività fisica che ormai è stata riconosciuta come parte integrante della terapia
I personal trainer che si occupano della gestione e supporto dell’attività fisica sono stati formati dal personale medico in modo da eseguire programmi di attività fisica compatibili con lo stato fisico della paziente, con la malattia e i trattamenti ricevuti.
Le pazienti possono scegliere se recarsi in una palestra vicina all’ospedale o esercitarsi da casa con un personal trainer virtuale attraverso un’applicazione dedicata. Devo dire che questo è uno dei programmi alle quali le donne aderiscono con molta facilità e soprattutto con molto entusiasmo, perché si sentono seguite attentamente dagli specialisti e soprattutto si sentono coinvolte in attività “normali”.
Garantiamo il supporto psicologico in ogni momento del percorso grazie al sostegno della psiconcologia, centrale nel percorso oncologico della paziente per favorire l’accettazione della malattia e del trattamento e offrire supporto per i caregiver e la famiglia.
È disponibile anche la consulenza nutrizionale preventiva. Coinvolgiamo nutrizionisti ed endocrinologi dall’inizio del percorso, non solo quando emergono problemi di malnutrizione e sottopeso, ma anche per controllare l’obesità che può essere un fattore di rischio per recidive e aggravare gli effetti collaterali. Grazie ad ACTO Toscana e al supporto di nutrizionisti e cuochi, abbiamo organizzato corsi di cucina con pazienti e medici per trasmettere la corretta informazione sulle diete da seguire e imparare a mangiare con gusto anche durante i trattamenti.
Penso anche che sia fondamentale la cura della bellezza e la valorizzazione della donna in quanto tale anche durante i trattamenti e a seguito degli interventi chirurgici.
A sostegno di questa idea ci avvaliamo del servizio della socio-estetica presente all’interno dell’azienda ospedaliera, dove le pazienti imparano a prendersi cura del nuovo corpo con le cicatrici, della perdita dei capelli e spesso anche di ciglia e sopracciglia. A volte il giusto trucco e gli accessori possono fare la differenza. Consigliamo anche applicazione di parrucche fisse, e questa è stata una grande scoperta perché le pazienti riescono ad affrontare meglio un evento drammatico come la perdita dei capelli. Pensiamo alle donne che hanno dei bambini piccoli in casa o altre situazioni delicate da gestire.
Stiamo iniziando a ragionare anche nella prospettiva della medicina di genere. Nei nostri percorsi abbiamo imparato che le donne posso presentare un percorso diagnostico e terapeutico diverso rispetto agli uomini e spesso i trattamenti oncologici possono risultare più tossici nella donna rispetto all’uomo. Ecco, questo penso sia uno dei temi più trascurati ma più caldi della medicina, che potrebbe aiutarci a personalizzare anche di più i trattamenti oncologici.
Come utilizzate le nuove tecnologie digitali per supportare le pazienti e quali risultati avete osservato?
Abbiamo introdotto la realtà virtuale durante i trattamenti chemioterapici. Il progetto è nato dalla collaborazione tra psiconcologi, ingegneri e giovani medici con l’obiettivo di dimostrare che applicazione dei visori durante la chemioterapia possa ridurre lo stato d’ansia delle pazienti, il disconfort ambientale, agendo anche sulla riduzione dei parametri vitali.
Durante la chemioterapia, le pazienti indossano il visore e possono scegliere quanto tenerlo, con durata variabile di tempo, scegliendo tra percorsi nella natura, corsi di meditazione o esperienze artistiche immersive e visite turistiche nella città.
I dati raccolti su pazienti affette da tumori ginecologici mostrano che questo breve intervento migliora significativamente il benessere delle pazienti, anche solo per la distrazione dall’ambiente ospedaliero. Le persone al di sopra dei 75 anni di età sono quelle che ne traggono maggior beneficio, anche perché la popolazione giovane è più familiare con la realtà virtuale. Ricordo un’anziana che mi disse: “Dottoressa, chi l’avrebbe mai detto che durante la malattia avrei potuto fare un giro ai Caraibi!“. Queste esperienze sono gratificanti anche per l’équipe medica.
Sono fiduciosa nell’apporto delle nuove tecnologie. Anche l’intelligenza artificiale avrà un ruolo crescente, con telemedicina, video-consulti e telemonitoraggio. Credo che ci aiuterà a creare percorsi di cura più sostenibili, specifici e veramente personalizzati.
Quale ruolo hanno le associazioni di pazienti nel vostro modello di cura integrata e quali progetti realizzate insieme?
Le associazioni di pazienti sono fondamentali nel nostro concetto di “cura condivisa”. Ci segnalano criticità su cui lavorare e offrono continuità quando noi medici non possiamo essere presenti. Collaboro strettamente con ACTO Toscana nell’organizzazione di eventi, nella comunicazione e nella promozione dei progetti.
Realizziamo anche iniziative dedicate ai caregiver, spesso uomini che faticano a esprimersi. Attraverso eventi sportivi o semplici partite di burraco, creiamo occasioni di confronto e dialogo tra loro.
Molte persone delle associazioni sono state pazienti e ora mettono le loro competenze al servizio di altre donne.
Quali sfide avete affrontato nell’implementare questo modello integrato e quali sono gli elementi chiave del suo successo?
Realizzare questo approccio richiede tempo, esperienza e passione. Alcuni pensano che offrendolo si possa minimizzare la gravità della diagnosi oncologica, ma è vero il contrario: comunichiamo chiaramente diagnosi e difficoltà del percorso, aggiungendo però che le pazienti non saranno lasciate sole.
La domanda più frequente è: “Come trovate il tempo per includere tutti questi aspetti nella visita?”. Le nostre pazienti escono dalle consultazioni sollevate perché si sentono completamente tutelate. Hanno piena consapevolezza dei trattamenti da affrontare, ma sanno di poter contare su una rete di supporto completa.
Sono fortunata perché ho trovato colleghi e istituzioni che condividono questa visione. Vedendo i benefici e la migliore aderenza ai trattamenti, tutti si sentono parte di questo percorso. Abbiamo creato un network multidisciplinare dove ogni servizio è essenziale al successo dell’insieme. Riconosciamo che non è un modello facilmente replicabile ovunque, ma sono fiduciosa perché le istituzioni iniziano a parlare concretamente di umanizzazione delle cure. Il principio guida deve essere questo: se grazie ai progressi nella ricerca e nell’innovazione terapeutica le pazienti vivono più a lungo, dobbiamo assicurarci che vivano bene.