Farmacovigilanza 2.0

Il 26 settembre si è svolto a Roma l’incontro Farmacovigilanza Web 2.0, organizzato da Aboutpharma. Erano presenti tutti i protagonisti ad eccezione dell’AIFA: esperti legali, aziende farmaceutiche, società di monitoraggio delle conversazioni online, rappresentanti delle commissioni e dei centri regionali di farmacovigilanza. Un’occasione interessante per condividere le innovazioni e i nodi problematici della farmacovigilanza 2.0 e non solo.

Ecco alcuni aspetti chiave emersi:

1. La definizione di reazione avversa.

Il primo grande cambiamento nella normativa non riguarda internet e il WEB 2.0 ma la definizione stessa di reazione avversa.

Dal sito dell’AIFA:

In primo luogo, cambia la definizione di reazione avversa intesa ora come ‘Effetto nocivo e non voluto conseguente all’uso di un medicinale’. Di fatto, con tale definizione, che è indipendente dal tipo di uso del medicinale, saranno oggetto di segnalazione le reazioni avverse, incluse anche quelle derivanti da errore terapeutico, abuso, misuso, uso off label, sovradosaggio ed esposizione professionale. Pertanto si avrà un incremento delle segnalazioni a cui corrisponderà una maggiore attività di monitoraggio.”

A quali necessità risponde questo ampliamento? Non rischia di generare una mole di dati poco gestibile e poco interpretabile? Le segnalazioni sono in costante aumento ma non sono chiari i benefici.  L’obiettivo è importante: sollecitare l’emergere di zone d’ombra nel consumo dei farmaci, ma l’effetto rischia di essere paradossale. Con l’ampliamento della definizione e le campagne di sensibilizzazione che mirano a un coinvolgimento sempre più attivo e consapevole del paziente si rischia infatti  un “allarme sociale” generalizzato sulla cura e i farmaci. Le autorità sembrano sottostimare la possibilità che si generi una profezia terapeutica che si autoconferma, con tutti i danni che possono derivarne per l’aderenza terapeutica e i costi del sistema sanitario nazionale.

2. La scarsa collaborazione dei medici
Lo scenario è reso ancora più difficile dal fatto che tutti i protagonisti presenti all’evento confermano la scarsa collaborazione dei medici. In un fenomeno così delicato e di difficile interpretazione come la rilevazione di una reazione avversa, si può pensare veramente di moltiplicare i canali di segnalazione, sollecitando i pazienti, senza l’apporto attivo dei medici? Nell’esperienza degli esperti di farmacovigilanza, i medici non collaborano per varie ragioni: sono troppo impegnati, sono preoccupati di ripercussioni legali, mostrano una scarsa percezione del valore e dell’importanza della farmacovigilanza. Anche i tentativi di semplificazione del processo con l’introduzione di strumenti digitali non sembra abbiano avuto grande successo, come dimostra lo scarso impatto di una app pensata per i medici generici già nel 2012. Forse si potrebbe pensare che lo scarso supporto  dei medici nasca non solo da resistenze culturali e difensive ma anche dalla consapevolezza dei rischi di una focalizzazione eccessiva sugli effetti avversi. Riflettendoci, capita raramente che un medico legga il “bugiardino” con gli effetti collaterali del farmaco o si soffermi sugli eventi avversi. Questo perché è più preoccupato di somministrate un effetto placebo con il farmaco, piuttosto che nocebo.

3) Le conversazioni online e la privacy.

Le segnalazioni online per essere validate ai fini della farmacovigilanza devono poter essere ricondotte ad un soggetto identificabile e contattabile. Ma spesso nei forum, dove si trovano le conversazioni più interessanti, il soggetto usa un nickname. L’intimità anonima consentita dalla protezione dell’identità anagrafica facilita l’emergere di vissuti spontanei e di problemi associati ai farmaci. Tutta questa informazione viene persa. La normativa sulla farmacovigilanza prevede che le aziende monitorino le proprie properties. In molti casi però il monitoraggio dei farmaci viene ampliato anche a forum e  social network per cogliere problemi, criticità e aree di innovazione e miglioramento. Le conversazioni online sono spesso  ricche di dettagli sul contesto della reazione avversa, sulle comorbilità, sugli usi off label, sulle interazioni tra farmaci.  La maggior parte di questi dati non possono però essere valorizzati ai fini della farmacovigilanza perché è impossibile risalire al soggetto anagrafico.

La situazione è complessa. Qualsiasi tentativo infatti di promuovere l’uso con nome e cognome dei forum sarebbe poco utile e anche dannoso. I forum e tutti i luoghi in cui si accede con nickname, continuano ad essere spazi sociali e di conversazione innovativi e preziosi. Facebook ci ha progressivamente abituato ad una sovrapposizione tra amici, alleati, supporter reali e virtuali. La separazione tra io reale e io virtuale ha invece un grande valore, soprattutto nel caso di problemi di salute.

Il risultato finale è però che si raccolgono scrupolosamente grandi quantità di dati validati ma con scarsa qualità e si ignorano una mole di vissuti, esperienze, problemi di alta qualità ma non validabili.

L’effetto della farmacovigilanza non dovrebbe essere quello involontario di innalzare i tassi di rifiuto sociale dei farmaci, ma di favorire l’utilizzo  delle nuove tecnologie e delle conversazioni in rete per scoprire eventi avversi diversi dagli effetti collaterali, connessioni anomale tra uso di farmaci e speciali comorbilità, interazioni inusuali. Non sembra che l’attuale sistema lo consenta. Forse una partnership tra AIFA, commissioni regionali, aziende farmaceutiche e amministratori dei siti che ospitano i forum più importanti potrebbe aiutare a trovare soluzioni per una farmacovigilanza che contribuisca all’innovazione e alla ricerca.