Milioni di video e foto online alimentano la riproduzione digitale permanente e quotidiana dei nostri corpi. C’è una zona d’ombra però in questa trasparenza iconica che ci racconta ogni giorno: manca ciò che siamo sotto la pelle.
Ma siamo qualcosa sotto la pelle? C’è ancora una persona nella radiografia o nella risonanza?
Tra controlli programmati, gambe e braccia rotte, patologie più o meno gravi, ognuno di noi colleziona un discreto numero di rappresentazioni del corpo sotto la pelle. Dove finiscono?
Anche il consumismo dilagante e opprimente di immaginario digitale sembra indifferente alla nostra radiografia. Fa forse eccezione l’ecografia delle future mamme, che circola sempre di più su Facebook. Ma in quel caso non è un sotto la pelle, è un “dentro” carico di senso e di vita, una nuova identità che si forma.
Tutto ciò che riguarda l’interno del corpo sembra essere considerato un oggetto separato dal sé e classificato come proprietà del medico e della medicina. Viene archiviato perché servirà per la prossima visita e non perché ci racconta.
Dice Behrens a Castorp, nella Montagna Incantata di Thomas Mann durante una delle prime radiografie: “E non mi venga a dire che è stanco! Le daremo una copia in omaggio con la quale potrà proiettare sul muro i segreti del suo petto fino ai figli e ai nipoti”! Sono gli inizi del ‘900 e la possibilità di mostrare e riprodurre l’interno del corpo suscita stupore e pudore al tempo stesso.
“The Beauty of Imaging”, una bella mostra proposta prima a Milano e poi a Napoli per i 90 anni dell’azienda farmaceutica Bracco, racconta la storia non solo medica ma anche culturale e artistica della rappresentazione dell’interno del corpo, cercando di recuperare il senso di bello e di meraviglia del viaggio nel corpo.
Nel presente e nell’immediato futuro di questo viaggio c’è la radiomica, che introduce non solo nuove tecnologie ma un cambio di paradigma fondamentale. Come le altre “-omiche”, la radiomica usa big data e intelligenza artificiale per offrire uno “sguardo aumentato” al medico che attraverso i dati, vede ciò che l’occhio umano non può vedere: l’invisibile non solo del corpo, ma di una persona. Grazie alla radiomica, l’immagine diagnostica cessa di essere la riproduzione di una sezione del nostro corpo ridotto a oggetto e diventa la componente dinamica di un sistema in cui convergono patrimonio genetico, storia clinica, stile di vita.
L’impatto può essere dirompente. L’Istituto Europeo di Oncologia è il primo in Italia e fra i pochi in Europa ad avere un Centro di Radiomica. Come spiega in un’intervista Massimo Bellomi, Direttore della Divisione di Radiologia IEO: “La Radiomica unita all’Intelligenza Artificiale ci offre un’opportunità unica di conoscenza del tumore della singola persona. Oggi, oltre alle immagini radiologiche, disponiamo di una mole enorme di parametri quantitativi relativi alla malattia del singolo paziente, che derivano dalle analisi istologiche, genetiche e persino dallo studio dell’ambiente e lo stile di vita della persona. L’intelligenza artificiale è lo strumento con cui possiamo elaborare questa massa di dati e trasferirla nella pratica clinica a beneficio del paziente”.
L’avvento dell’intelligenza artificiale, del machine learning e del deep learning apre la strada anche a una nuova interpretazione della figura del radiologo. Il radiologo funge da “cerniera” in questo nuovo sistema d’analisi, fra i medici di altre specializzazioni e nuovi sistemi sempre più automatizzati, guidati da algoritmi complessi che forniscono informazioni diagnostiche integrate e con implicazioni prognostiche e terapeutiche personalizzate.
Come sottolinea Giuseppe Scotti, neuroradiologo del Centro Diagnostico Italiano: “questa innovazione richiede però un profondo cambiamento della formazione universitaria, con un maggiore peso per le materie matematiche e statistiche, e la disponibilità a confrontarsi con altre professionalità, come informatici, ingegneri, fisici, matematici” e, aggiungerei io, anche antropologi, psicologi e filosofi. Le nuove possibilità aperte da big data e intelligenza artificiale sfidano infatti le rappresentazioni culturali e identitarie del nostro corpo e dei nostri vissuti e richiedono che la medicina in tutte le sue fasi e in tutti i suoi strumenti integri sempre di più anche le humanities.
La personalizzazione del sotto la pelle apre a nuove percezioni dello schema corporeo e a nuove modalità di confrontarsi con la malattia, la prevenzione e la prognosi che richiedono la progettazione di percorsi più condivisi fra tutte le figure che ruotano intorno alla cura.