“Da principio aveva avvertito la stanchezza, ma aveva creduto che dipendesse dai suoi numerosi impegni e aveva continuato la sua dinamica vita rimandando il riposo a più tardi. La concomitanza di poter avere finalmente del tempo per realizzare i suoi desideri e la diagnosi di avere la Sclerosi Multipla l’aveva colpita come un fulmine, lasciandola sconvolta a chiedersi: Ed ora? Cosa mi succederà? I miei desideri li potrò realizzare? Aveva cercato su internet le risposte alle sue domande e quello che aveva letto l’aveva lasciata attonita e spaventata, ma leggere che la malattia, pur essendo incurabile, era in fase di studio e ricerca l’ aveva un po’ rincuorata”. (Il volo di Pegaso, un autore, opere narrative)
Il primo marzo si è celebrata la premiazione dell’XI edizione del Concorso letterario, artistico e musicale “Il Volo di Pegaso”, dell’Istituto Superiore di Sanità, dedicato alla Tenacia.
Le opere raccontano la tenacia con tonalità e metafore molto diverse. E’ ricorrente però una declinazione della tenacia come di una forza per contrastare la diagnosi come destino. La tenacia sembra voler affermare mondi conoscitivi ed emotivi diversi rispetto a quelli imposti dalla disease, incarnata nel lessico medico, e dalla sickness incarnata nello sguardo degli altri.
La tenacia si alimenta della visione di altri mondi possibili, invisibili alla maggior parte, siano essi medici, amici o semplicemente “la gente”.
Soprattutto nelle malattie rare, la diagnosi è spesso liberatoria per il soggetto che si viveva come portatore di una malattia considerata quasi immaginaria, perché non classificabile. Avere una diagnosi significa restituire autenticità e riconoscimento al dolore e alla sofferenza e quindi in qualche modo accoglierli.
Facilmente e rapidamente si può passare però dalla liberazione al senso di impotenza, per la mancanza di cure. La diagnosi rischia allora di far sprofondare il soggetto in una simbiosi senza speranza con la sua malattia. Da liberazione, la diagnosi rischia di diventare un destino.
“Una diagnosi è un atto conoscitivo, un enunciato nell’ambito di una interazione, l’acme del potere e della funzione sociale di una corporazione, una fase di una procedura burocratica all’interno di una organizzazione complessa, un’area semantica estesa nella conversazione sociale, una valutazione che si colloca in un circuito economico e produce ricadute economiche molteplici, un elemento di valutazione attuariale, una casistica assicurativa, un oggetto di controllo sociale. Altrettanti fattori, nessuno escluso, di un ‘destino’ per un individuo e per il suo microcontesto”. (Enrico Pozzi, Diagnosi e destino. Un tema potente, appena sfiorato).
La tenacia cerca di aprire strade e vie di fuga nella maglia oppressiva della diagnosi/destino. La tenacia non implica il rifiuto della diagnosi, ma di un destino unico di quella diagnosi, della chiusura di tutti i mondi possibili, dell’impossibilità dell’immaginazione
“Solo sedici anni,
i tamburi urlavano alla resistenza:
i baci da dare,
i viaggi da fare,
i sogni da realizzare.
Troppo presto per mollare.
Capii la vita”. (Il volo di Pegaso, un autore, poesie)
Ogni tanto, qui e là nelle opere che hanno partecipato al premio, si accenna a internet. Nel percorso alla ricerca della tenacia, i mondi virtuali possono avere un ruolo molto significativo. Introducono infatti la possibilità di discorsi alternativi rispetto alla parola clinica e alla parola sociale degli “altri”, che spesso fraintende e opprime. Specialmente nelle malattie rare, regalano intimità anonime con soggetti lontani, ma con esperienze molto simili e un tempo inattingibili. Rilanciano la possibilità di immaginare, pericolosamente, lì dove prospettano cure inesistenti, positivamente, lì dove aiutano a vedere modi e mondi diversi di vivere con la malattia.
Un grazie agli autori, a Domenica Taruscio, Amalia Egle Gentile e a tutto il team del Volo di Pegaso, per avermi fatto scoprire la tenacia come possibilità di aggiungere una propria impronta al destino di una diagnosi.