“Domestiche sparizioni” e nuovi “igienici oggetti d’amore” accompagnano il ritorno a casa dopo la malattia, nel racconto di Clara Gallini, un’antropologa che ha studiato a lungo i rituali terapeutici. Nel 2016, poco prima di morire, ha pubblicato Incidenti di percorso. Antropologia di una malattia, in cui condivide l’auto-etnografia del suo tumore al cervello. Tornata a casa dopo il ricovero, Clara Gallini scopre che dalla sua casa sono spariti gli oggetti feticcio di una vita di viaggi antropologici. Ancore di identità e memoria per lei, vecchi, impolverati e, quindi, pericolosi per le nipoti che l’assistono, guidate dalla “ragione medica” dell’igiene. Protesta inutilmente. Ogni ritorno è un rituale di purificazione taumaturgico per chi l’assiste e una perdita di riferimenti vitali per lei. Clara Gallini problematizza questo ruolo centrale del discorso medico nella costruzione del personaggio “paziente” e della sua casa.
Nel momento in cui, giustamente e finalmente, la casa si rimette al centro come primo luogo di cura, preoccupa lo scarso interesse per le dimensioni psicologico-sociali e simboliche di questa scelta.
C’è il forte rischio che la “ragione medica”, rafforzata dai dispositivi tecnologici, calpesti, per il “puro bene” del paziente, territori affettivi e relazionali che sono alla base della voglia e della capacità di curarsi. I punti di forza del curarsi a casa li conosciamo tutti e non si tratta di metterli in discussione, ma di essere sicuri che si raggiungano. Per questo è fondamentale mettere al centro del processo di trasformazione della salute, modelli di formazione multidisciplinari che coinvolgano pazienti, curanti e caregiver in percorsi di co-progettazione degli interventi. L’avvio dell’assistenza domiciliare supportata dalle tecnologie e dalla telemedicina, richiede un’analisi bio-psico-sociale del contesto abitativo, delle risorse pratiche, economiche e relazionali; dei vissuti degli spazi della casa in cui si andranno ad innestare le cure. Stiamo infatti immaginando percorsi che son ben lontani dalla visita del “medico condotto”.
Due fenomeni sono preoccupanti: 1) la focalizzazione della formazione sulle competenze puramente tecniche; 2) la mancanza di tempo dei curanti per formarsi ad una nuova cultura della cura e non solo all’uso di nuovi strumenti. La domanda formativa diventa così di valore quasi nullo, centrata su video da vedere, forse, in remoto, in non si sa quali momenti. La mancanza di attenzione allo sviluppo di competenze adeguate per le nuove figure della cura domiciliare e di comunità può diventare un ostacolo grave alla trasformazione.
Frontiers Health, la conferenza internazionale organizzata da Healthware a Roma, è stata un momento di confronto tra gli attori più importanti per le sfide dei prossimi mesi. Un focus è stato dedicato anche alla formazione con il workshop “Lo sviluppo delle competenze per co-creare una sanità digitale di valore”. E’ emersa una convergenza verso un modello sistemico di formazione che coinvolga tutti gli attori in percorsi comuni: dai pazienti al management sanitario.
Un approccio che con la Digital Health Academy stiamo portando avanti da prima della pandemia e che ora diventa fondamentale. Nessuno considera il cambiamento in atto come un processo lineare e in continuità con il passato. In workshop, forum, convegni, ricorrono espressioni come “rivoluzione culturale”, “cambiamento culturale”, “viraggio da medicina reattiva e medicina proattiva”, “rompere le barriere”, “invertire la logica”, “cambiamento di mindset” “change management” . Per essere efficace, in questa fase di trasformazione, il tempo della formazione va integrato come tempo di cura, come momento centrale di co-creazione del percorso e degli strumenti abilitanti, con il coinvolgimento di tutti gli attori, in team multidisciplinari. Vedo sempre grande entusiasmo e passione in curanti e pazienti quando vengono coinvolti in attività di co-progettazione con al centro i bisogni reciproci, a cui gli strumenti tecnologici possono fornire una risposta. Solo con una visione della formazione come lavoro di cura possiamo costruire una sanità diversa e non rischiare di inserire solo nuove e faticose logiche amministrative e tecnocratiche.