Dal 26 febbraio 2020 ho cominciato ad avere paura della malattia da covid-19. Una paura che mi ha portato a rispettare rigorosamente le normative sul lockdown e a vaccinare me e la mia famiglia, appena è stato possibile per le nostre fasce di età. Ho giustificato la mia scelta immediata e impulsiva con le opinioni online di un network di scienziati, virologi, medici, giornalisti scientifici. La mia echo-chamber digitale mi ha dato fiducia e ha rafforzato la mia fiducia nella potenza della ricerca e della scienza. Il vaccino mi ha consentito di trasformare la paura di morire in preoccupazione per l’impatto della pandemia. Un vantaggio importante che rafforza ulteriormente la mia convinzione di aver fatto la scelta giusta.
Le mie scelte sono state guidate dalla paura ma anche ‘validate’ da un’echo-chamber d’eccellenza che precedeva l’epidemia, un capitale digitale costruito negli anni. Mi sarei vaccinata lo stesso se Nino Cartabellotta fosse stato contrario? Non so rispondere. Forse no. Non l’ho mai conosciuto personalmente e non ho mai collaborato direttamente con GIMBE. Gli algoritmi costruiti sulle mie attività, mi propongono però le opinioni di Nino Cartabellotta quotidianamente, soprattutto su Facebook. Non ho bisogno di cercare quello che scrive, mi appare e mi rassicura.
Tutto diventa più complesso quando esco dalla sicurezza del mio territorio digitale, per confrontarmi con i diversi cerchi sociali che intercetto per amicizia o per lavoro in altri territori, digitali o analogici che siano. Mi preoccupa scoprire che amici di anni abbiano deciso di non vaccinarsi. Non so cosa rispondere a potenziali partner professionali che argomentano contro il vaccino o negano la malattia. Non so che misure relazionali adottare per non perdere degli amici o compromettere dei progetti che mi piacciono. Mi salva la mia formazione all’ascolto e all’osservazione partecipante etnografica. E ne ascolto tante sia online che offline. Quello che mi colpisce di tutte le argomentazioni basate sul complotto è che non ammettono mai la paura ed esprimono costantemente sfiducia in tutto. Non dicono: ho paura della malattia, perché la malattia è considerata un’invenzione. Non dicono ho paura del vaccino, perché il vaccino è raccontato come una gigantesca operazione commerciale, nella migliore delle ipotesi. C’è un ‘altro’ antagonista di cui non bisogna fidarsi e che di volta in volta è incarnato da entità diverse.
Il negazionismo e il rifiuto del vaccino eliminano la possibilità di dire la paura. Non trasformano la paura in preoccupazione, come nel mio caso, la negano. Con talvolta, non sempre, un grande effetto collaterale: generano rabbia, aggressività, vissuto di oppressione e persecuzione. La paura invece è in qualche modo sempre mista alla speranza, ci ricorda Adriano Prosperi, nel libro Tremare è umano. Una breve storia della paura. Anche Guendalina Graffigna nel libro Esitanti sottolinea il ruolo che la paura può avere nella scelta di prevenzione, se gestita adeguatamente.
Io ho avuto paura, ora sono preoccupata ma ero e resto fiduciosa, ho speranza nel futuro e mi meraviglio della capacità di mobilitazione di competenze, strumenti e passioni per raggiungere risultati straordinari e accessibili a tutti. In quella fila per il vaccino eravamo tutti uguali, tutti pronti a salvarci insieme, senza distinzione di classe, di appartenenza, di orientamento, di età. Il vaccino per tutti, accessibile e gratuito, senza gli ostacoli che spesso caratterizzano l’accesso alle prestazioni sanitarie. Con qualche differenza regionale, ridotta comunque rispetto alle differenze negli accessi alle cure. Il mio capitale digitale di relazioni, conoscenze, emozioni, appartenenze ha alimentato e rafforzato la mia fiducia nelle decisioni pubbliche e nelle misure di contrasto e prevenzione. La fiducia può essere una risposta alla paura. Se c’è fiducia, la paura può essere espressa e superata.
Nella cura oggi però proprio la fiducia nel sistema sanitario, nelle cure, nei curanti, nella ricerca scientifica, nei decisori politici rischia di essere fortemente in crisi. L’ha raccontato splendidamente Sandro Spinsanti in un convegno della SIFO dedicato alla Farmacia Narrativa. La cura, ci dice Sandro, è un tavolo che si fonda su tre pilastri la “pillola”, la “parola” e la “fiducia”. Per crollare, basta che anche un solo pilastro cada. E la fiducia è molto incrinata per una molteplicità diversa di motivazioni che precedono di molto la pandemia. Chi non si vaccina in primo luogo è qualcuno che non ha fiducia e che trova in rete community intere di sfiduciati.
E’ importante lavorare alla fiducia, curare il potenziale di fiducia che le reti digitali possono creare. La fiducia riduce la complessità e facilita le scelte. E’ urgente valorizzare i canali di comunicare nei social media di istituzioni scientifiche, organizzazioni sanitarie, scienziati, medici per creare fiducia. Pur nella differenza di punti di vista e nella complessità delle scelte, occorre mettere al centro l’obiettivo di aumentare la fiducia. Troppo spesso questa dimensione è ignorata o considerata secondaria rispetto alla presunta esigenza di informare. L’informazione senza la fiducia non arriva. Il problema non è che tanti virologi si siano esposti in primo piano, anche con opinioni diverse, perché le crisi sono multidimensionali e richiedono approcci diversificati. Il problema è che spesso è avvenuto senza condividere l’obiettivo comune di creare fiducia, una sfida difficile ma irrinunciabile.