Gli ospedali stravolti dalla pandemia stanno vivendo uno strano paradosso temporale. Da un lato, l’immobilità accelerata generata dal covid-19, che catalizza tutte le risorse, e rallenta o sospende del tutto l’attività di cura non legata all’emergenza. Dall’altro, il tempo della catarsi, un tempo cioè che progetta un nuovo modo di curare. C’è voglia di pensare un domani non solo libero dal covid, ma anche diverso rispetto al passato. Il distanziamento dai pazienti, il vederli “morire con la terapia intensiva addosso”, il sentirsi privati del corpo che cura e ridotti a soli occhi, sta generando un bisogno di relazione nuovo e più intenso tra curanti e persone con una malattia.
Nel report R-esistere. Le storie dietro i numeri, della Società Italiana di Medicina Narrativa, tra i messaggi chiave che emergono per costruire una nuova normalità, c’è al primo posto la “Valorizzazione delle Medical Humanities”.
Un punto di riferimento in questa direzione è il Centro Studi per le Medical Humanities di Alessandria, diretto da Antonio Maconi. Le medical humanities sono presenti in diversi modi negli ospedali e nei percorsi di studi, con corsi e master. La specificità del Centro di Alessandria è che riesce ad integrare tutte le esperienze per garantirne un impatto effettivo e coerente sui percorsi di cura.
Un gruppo di lavoro esisteva dal 2018 in sinergia con l’Università del Piemonte Orientale, ma nel dicembre 2020 è stato istituito con una delibera ad hoc il CENTRO STUDI SPEDALITA` CURA E COMUNITA` PER LE MEDICAL HUMANITIES (CSSCC).
Il Centro si articola in 8 commissioni di ricerca: bioetica, medicina narrativa, arti espressive (musica, arte, teatro, danza, fotografia), engagement ed empowerment del paziente, luoghi della cura, storia della medicina, diritto.
Quante volte noi antropologi dimentichiamo la centralità del diritto nel dare forma alla cura e quante volte i legali dimenticano l’importanza dell’engagement nel mitigare la medicina difensiva?
Il Centro fa suo un approccio autenticamente multidisciplinare, animato da una visione sistemica della medicina: “Alessandria, un ospedale dove la medicina è la più umana delle scienze, la più empirica delle arti e la più scientifica delle humanities” .
L’attività del Centro mira a cambiare la cura e il prendersi cura nell’ospedale. Per questo nel 2021, oltre all’attività di ricerca, formazione e divulgazione, sono stati avviati due progetti che hanno un impatto diretto sull’organizzazione e i percorsi.
E’ già partito “Verba Curant”, un percorso formativo in collaborazione con la Scuola Holden di Torino, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo. Duecento operatori dell’ospedale di Alessandria sono chiamati a lezione di storytelling, per comunicare meglio con i pazienti.
Entro maggio partirà un progetto di medicina narrativa digitale, con la start up sociale e innovativa DNM, sostenuto da Solvay. L’obiettivo è passare dalla formazione all’integrazione delle pratiche narrative nel percorso di cura. Un progetto fortemente voluto dal direttore generale Giacomo Centini: “L’emergenza ci ha imposto di comprendere le tendenze del contagio giorno per giorno, di fare le migliori scelte per la comunità. Certamente è necessario continuare ad investire in ricerca per comprendere il virus, ma ci siamo davvero resi conto di quanto sia fondamentale la relazione umana, quella relazione che si instaura tra operatore di cura e persona assistita: abbiamo bisogno di relazione, perché abbiamo bisogno di una cura a misura di persona”.
Verranno da subito coinvolte aree terapeutiche importanti: l‘oncoematologia, la riabilitazione, la cardiologia. L’obiettivo è utilizzare le tecnologie per tradurre in realtà l’integrazione tra piano assistenziale e progetto esistenziale, promossa dal Piano nazionale cronicità. All’ospedale di Alessandria il nuovo umanesimo digitale nella cura non è più solo un’aspirazione, è un progetto avviato.