E’ bello, alla soglia dei 50, leggere e rileggere il programma di un master universitario, in cui insegnerai, e sognare di poter essere uno studente, più che un docente. Mi è successo con il Master di II Livello in “Nuove competenze per la Medicina generale. Affrontare la complessità e i cambiamenti tecnologico-organizzativi”, ideato e fortemente voluto dall’Università di Trento e dalla Fondazione Bruno Kessler.
Ogni giorno siamo esposti a molte parole chiave nuove o riscoperte nella salute: digital health, intelligenza artificiale, medicina narrativa, internet of things, precision medicine, personalized medicine, system medicine, umanizzazione. Spesso però non si coglie come queste diverse dimensioni possano entrare in un modello integrato per una nuova medicina e come possano contribuire a formare un nuovo medico e un nuovo paziente.
L’Università di Trento e la Fondazione Bruno Kessler provano per primi a offrire una risposta per la medicina generale. Dodici mesi e dieci week-end per fare un viaggio conoscitivo e pratico in un modello di medicina che ancora nessuno era riuscito a raccontare così bene. Per rendersene conto è sufficiente elencare le nove sezioni del Master: 1. L’Approccio teorico alla System medicine: verso una medicina della complessità; 2. L’EBM: principi, metodi, rivisitazione; 3. La medicina narrativa; 4. Il Decision making condiviso; 5. L’Appropriatezza prescrittiva; 6. La Digital Health; 7. Genetica/Genomica: counselling nelle cure primarie 8. I determinanti organizzativi e manageriali nelle cure primarie; 9. “Special interests” nella Medicina generale: il paziente in cure palliative e/o simultanee per cancro avanzato e in cure palliative non oncologiche, la fragilità psichica nelle cure primarie; il paziente fragile/instabile; il paziente con dolore cronico; la medicina di genere.
Il Master non cambierà solo quello che il medico saprà e saprà fare, ma anche e soprattutto la relazione di cura e il percorso del paziente con la malattia.
Il Master non offre solo nuove competenze al medico di medicina generale ma anche una nuova identità. Nel modello del Master, potremmo dire che il Medico di Medicina Generale diventa un mediatore di reti: reti di dati, reti di point of care, reti di relazioni, reti di conversazione. Non un nodo tra gli altri, ma il nodo che media più di altri universale e particolare, spazio clinico e spazio domestico, biologico e biografico, territorio e comunità, cura e prendersi cura.
Per capirlo meglio, proviamo a seguire il bel percorso narrativo ispirato a Sliding doors proposto nel suo blog dalla SIMFER, la Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa
Si tratta di una storia con finali diversi a seconda dell’interazione tra il fisiatra e il paziente. L’attenzione è sopratutto sullo specialista, però è interessante il ruolo attribuito al medico di medicina generale. Riporto solo parzialmente la prima puntata, raccomandando di leggere l’intero dialogo.
“Mario, 59 anni, si sveglia un mattino con una strana sensazione di ‘fastidio’ alla spalla sinistra, che nei giorni successivi diventa un dolorino sordo, continuo; si accorge anche che diventa più forte con certi movimenti, come mettersi la giacca. In ufficio, il suo collega Giorgio lo sente lamentarsi per il dolore mentre sta riponendo un plico su uno scaffale; Mario gli racconta cosa gli sta succedendo e Giorgio gli dice che, se fosse in lui, si farebbe fare una radiografia della spalla. L’indomani, Mario telefona a Ugo, suo medico di famiglia, un vecchio compagno di scuola, per chiedergli di fargli la richiesta per una radiografia della spalla. Il Medico dice che prima vorrebbe visitarlo, ma Mario dice che sta partendo perché invitato al matrimonio di una nipote in un’altra città, gli descrive i suoi sintomi e insiste per avere l’impegnativa per la radiografia, dicendo che sua figlia la passerà a ritirare allo studio di Ugo. Questi, seppure riluttante, prescrive l’esame, consiglia a Mario di prendere un po’ di paracetamolo, e di farsi vedere appena avesse ricevuto la risposta. In viaggio, Mario è piuttosto infastidito dal dolore, che da un paio di giorni gli disturba anche il riposo notturno, e si calma solo un poco con il paracetamolo. Un cugino incontrato al matrimonio gli consiglia di lasciar perdere la visita dal suo medico di medicina generale, e di fare subito una visita specialistica ortopedica. Al ritorno, Mario telefona a un suo cugino, Filippo, che fa il dermatologo in un ospedale vicino, e questi gli dice che è meglio fare una visita fisiatrica; gli procura un appuntamento la settimana dopo presso l’ambulatorio di Medicina Fisica e Riabilitativa del suo stesso ospedale”. di Guido MB.
Nel racconto, l’arrivo di Mario dal fisiatria, non avviene secondo un percorso guidato da considerazioni mediche e sintomi ed esigenze di Mario. Piuttosto il tutto avviene per l’ovvia necessità di Mario di dare una risposta rapida al dolore, ma anche per una serie di conversazioni casuali e un passaparola amicale. All’origine di questo fai da te disordinato c’è proprio la mancanza del medico di medicina generale come mediatore di rete. Questa mancanza non è “colpa” del medico, ma di un insieme combinato di fattori: la delegittimazione del ruolo del medico di famiglia a ‘passacarte’ dello specialista, la scarsa attenzione del medico alle dinamiche relazionali e al vissuto emotivo del paziente, l’incapacità del paziente nel negoziare una nuova relazione, il ritardo nella digitalizzazione della sanità. E potremmo continuare. Proviamo ora ad immaginare la storia di Mario in un futuro prossimo, anche se non immediato , in cui le nuove competenze e la nuova identità del medico curante proposte dal Master, siano diventate abbastanza diffuse.
Ciak si gira 2.
Mario, 59 anni, si sveglia un mattino con una strana sensazione di “fastidio” alla spalla sinistra, che nei giorni successivi aumenta… Mario è preoccupato, anche perché deve partire per un viaggio e non riesce ad andare dal medico curante. Un collega di cui si fida molto, gli consiglia di fare una radiografia, ma Mario esita e pensa sia meglio richiedere al suo medico curante una televisita. Ugo, il medico curante, ritiene importante coinvolgere da subito un ortopedico e individua uno specialista disponibile, attraverso il calendario condiviso con le strutture specialistiche del territorio. In video chat Mario spiega i suoi sintomi e l’ortopedico gli fa eseguire una serie di movimenti. L’ortopedico riesce a diagnosticare facilmente una “sindrome da conflitto”, prescrive dei farmaci e alcuni movimenti da fare comodamente a casa. Mario però sembra non convinto, chiede più volte conferma della diagnosi all’ortopedico e insiste per fare comunque una radiografia. Interviene allora Ugo, il suo medico, che gli chiede se per caso c’è anche qualcos’altro che lo preoccupa, qualche sintomo, anche non legato al dolore? A quel punto Mario dice che la cugina ha da poco avuto un dolore molto simile al suo e che le hanno diagnosticato un tumore al polmone e che purtroppo è il quarto caso di tumore al polmone che coinvolge parenti o amici. Questo pensiero non lo fa dormire la notte, tanto quanto il dolore. Ugo e l’ortopedico tranquillizzano entrambi Mario che in questo caso si tratta di un problema ortopedico. Ugo ricorda a Mario che, nel caso emergessero fattori di rischio legati a possibili patologie tumorali, gli consiglierà un percorso di screening adeguato. La televisita dura in totale 12 minuti. Mario è sereno e comincia subito a fare qualche esercizio”.
Una storia poco credibile? Non direi e non manca troppo perché sia possibile. Il Master di Trento è il primo tentativo organico di pensare una nuova medicina, speriamo che non resti il solo.