Dal paternalismo del medico al paternalismo della macchina: un nuovo rischio

Piccolo scambio via email con il mio MMG.

Buongiorno,

Sono la signora Cenci. Mi ha visitato per la tosse la scorsa settimana. Ho fatto 5 gg di f. ma la tosse è ancora molto brutta. In più mi è venuta un’allergia alle gambe e alle braccia, con un fortissimo prurito alle gambe, ma solo la mattina. Mi sento un po’ meglio globalmente ma ho ancora l’affanno. Non ho avuto febbre e quindi non ho preso l’antibiotico. Volevo sapere se voleva visitarmi di nuovo o comunque come mi devo regolare. Saluti

 a parte il fatto che 5 giorni di terapia in questo periodo particolare non sono poi tanti e che i farmaci non sono miracolistici vediamoci oggi pomeriggio intorno alle 17.00

Un po’ di contesto. La terapia mi è stata prescritta per 7 gg, quindi l’aspettativa, magari sbagliata, è che dopo 5 gg un qualche miglioramento potesse vedersi. E’ poi insorto un nuovo fenomeno molto fastidioso, l’allergia. In generale, sbaglierò, ma il tono della mia email non mi sembra fosse lamentoso o particolarmente critico verso la terapia. E’ la prima volta che ho un problema dal 2014, non potrei quindi essere definita una paziente assidua. La risposta del medico, nella sua brevità, sembra invece trasmettere una serie di percezioni aprioristiche del paziente: i pazienti si lamentano sempre, pretendono di guarire rapidamente e pensano che i farmaci facciano miracoli. Un po’ di tosse che sarà mai… Ci fanno perdere tempo con le loro ansie, e così via….

Ecco il paternalismo che riemerge in una riga. Il paziente che non capisce, non sa, ha aspettative magiche e il medico è ‘costretto’ ad accoglierlo, dall’alto della sua competenza. Nonostante gli sforzi enormi per migliorare la comunicazione medico-paziente, la medicina narrativa, lo slogan il paziente al centro, le buonissime intenzioni della maggior parte dei pazienti e degli operatori, credo che molta interazione quotidiana, spesso involontariamente, trasudi paternalismo in moltissimi gesti e parole.

Immaginiamo ora un futuro prossimo, il cui, invece di scrivere al nostro MMG, scriviamo al suo assistente, un robot di ultima generazione, che chiamiamo per amore di Guerre Stellari, R2-D2. R2-D2 è in grado di analizzare rapidamente big data relativi a patologie e farmaci  e anche i miei big data. Il nostro scambio potrebbe allora diventare.

Buongiorno R2-D2,

sto seguendo la terapia con f., ma la tosse è ancora molto brutta e continuo ad avere l’affanno. Da un paio di giorni ho anche un’allergia a gambe e braccia, con un forte prurito alle gambe, soprattutto la mattina. Cosa mi consigli?

Buongiorno Cristina,

mi dispiace che tu abbia ancora fastidi in questi giorni di festa. Oggi sei al quinto giorno di f. Nel 99% dei casi conosciuti, nel mese di dicembre in Italia, la tosse può durare anche 15-20 giorni, nonostante il trattamento. La tosse riduce anche l’appetito e ti impedisce di gustare le specialità natalizie e in generale di alimentarti correttamente, aumentando il senso di fatica e stanchezza. Tra gli effetti indesiderati di f., nella categoria Disturbi del Sistema Immunitario, sono state segnalate reazioni di ipersensibilità cutanea. Puoi comunque continuare la terapia e utilizzare questa crema per ridurre l’irritazione e il prurito. Ti auguro di riuscire a trascorre meglio il Capodanno. Per qualsiasi nuovo problema, scrivimi. Il tuo R2-D2

Il mio amico neurologo Mauro Zampolini ha inventato il motto “Be Digital, Be Human, per problematizzare lo stereotipo che nuove tecnologie e intelligenza artificiale portino necessariamente ad una relazione più spersonalizzata e distante.

Saranno le macchine ad aiutarci a superare il paternalismo nella relazione medico-paziente? Preferiremo scrivere a R2-D2 che al nostro medico? Il potenziale c’è, ma il risultato non è scontato. In un breve testo pubblicato su JAMA Oncology e segnalato da Eric Topol su twitter, un gruppo di ricercatori si chiede “Human-Machine Collaboration—A New Form of Paternalism?.

Isabelle Scholl, Raymond U. Osarogiagbon e Glyn Elwyn commentano un articolo pubblicato sempre su Jama Oncology: “Human-Machine Collaboration in Cancer Treatment. The Centaur Care Model”  (qui la risposta ulteriore al commento). .

Non ricostruisco qui l’intero confronto. Riporto solo alcuni elementi chiave:

  1. L’interazione uomo-macchina per un percorso di cura personalizzato ed empatico è possibile. Nelle situazioni più semplici, le macchine possono offrirci le risposte che ci servono esattamente quando le vogliamo. Nelle situazioni più complesse, in team con i curanti, le macchine possono rendere la cura più appropriata, liberando anche tempo per la relazione curante-paziente finalizzata alla personalizzazione del percorso sulla base dei bisogni e delle aspettative.
  2. Il “Be Digital, Be Human” è possibile ma non scontato. Dipende molto da come vengono progettate le macchine, dalle visioni che inconsapevolmente rischiano di incorporare: il modello puramente biomedico, il paternalismo, la mancanza di dati relativi alla sfera emotiva e alla qualità di vita dei pazienti. Siamo noi a progettare le macchine e rischiamo di essere noi a replicare modelli impliciti di cura e di relazione.

Come scrivono gli autori del commento: “For human-machine collaboration to provide a way forward in cancer treatment, it has to include patient-centered outocome that go beyond survival, such as quality of life, trust and confidence in the decision-making process, and the decision made. Otherwise, we will end up with brutal, machine-led paternalism”.

E’ sempre più importante individuare contesti in cui produttori, ingegneri, curanti, antropologi, sociologi, psicologi, start up, collaborino insieme per progettare relazioni uomo-macchina non solo sempre più evolute dal punto di vista dell’accuratezza delle informazioni, ma anche della qualità delle relazioni che costruiscono o rendono possibili.

Avremo occasione di confrontarci su questi temi il primo febbraio 2018, all’Istituto Superiore di Sanità, nel corso del workshop “Le narrazioni vestite di tecnologia”, organizzato dal Centro Nazionale Malattie Rare e dal Center for Digital Health Humanities, in collaborazione con IFO. Il workshop è aperto al racconto di progetti che coniughino medicina narrativa e nuove tecnologie, lo human e il digital.