L’impatto della rivoluzione digitale è dirompente e molto diverso rispetto alle innovazioni tecnologiche del passato. Nel passato i nuovi strumenti tecnologici sono stati fondamentali per l’efficacia delle diagnosi e delle terapie. Nello stesso tempo però hanno portato a una progressiva spersonalizzazione delle relazioni e delle cure e a un monopolio medico delle competenze e dei saperi. L’attuale rivoluzione digitale cambia invece radicalmente il viaggio con la malattia e il ruolo del paziente nel processo di diagnosi e cura. Le parole chiave di questa rivoluzione sono co-costruzione e co-produzione della salute. Il cambio di paradigma è fotografato dai dati del Monitor Biomedico 2014 del Censis. Alla domanda “Chi dovrebbe decidere in merito alle cure più appropriate quando si ha un problema di salute?”, il 51% risponde “Il medico e il paziente collaborano nel prendere decisioni“ e il 21% “Il medico fornisce le informazioni su malattia e terapia e le decisioni sono prese dal paziente”.
Una prospettiva in linea con la definizione di medicina narrativa offerta dalle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità: “La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere, e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la co-costruzione di un percorso di cura personalizzato e condiviso (storia di cura)”.
Le convergenze però ad un certo punto si interrompono: la digital health continua infatti a ruotare prevalentemente intorno al quantified self e ai wearable device e la medicina narrativa intorno alle Medical Humanities e alle metodologie tradizionali.
Eppure il digitale può offrire opportunità di sviluppo e diffusione straordinarie alla medicina narrativa. Per questo il Center for Digital Health Humanities ha creato DNM – Digital Narrative Medicine, la prima piattaforma digitale per l’applicazione della medicina narrativa nella pratica clinica. Lo spazio digitale può infatti essere un spazio narrativo migliore della stanza del medico. Vediamo perché:
1. per essere efficace, la relazione narrativa, il racconto e l’ascolto di storie, richiedono un setting adeguato. Gli ospedali, gli ambulatori (anche quelli privati), i centri diagnostici sono tutti caratterizzati dallo stesso paradosso: sono luoghi carichi di emozioni, paure, aspettative, vita e morte e al tempo stesso sono dei non luoghi: anonimi, spersonalizzanti, seriali. La sala d’aspetto, più o meno grande, più o meno affollata è lo spazio simbolo del non luogo. Anche quando si ha un letto, l’unica possibilità per l’ammalato di conservare un luogo suo è l’armadietto. Tutto invita alla spersonalizzazione e all’inclusione seriale nell’istituzione totale. Il setting della narrazione valorizza invece l’individuo, la sua identità unica e irripetibile. Vi pare possibile una sala d’attesa in uno studio psicoanalitico? Dall’analista ognuno ha un suo spazio-tempo dedicato per la narrazione. La medicina narrativa è uno strumento della tailored medicine e non della medicina seriale, la co-costruzione di un percorso di cura personalizzato e condiviso ha bisogno di un luogo. La difficoltà dei medici ad applicare la medicina narrativa è spesso giustificata con il problema del tempo scarso. Ma non è solo il tempo che manca, manca anche il setting. Non c’è lo spazio della narrazione nel non luogo della cura. Il digitale può offrire questo setting, può offrire uno spazio protetto “fra sé e sé” sia al paziente che al medico, uno spazio dove esistono solo il paziente, la sua storia e il suo medico. Uno spazio sul proprio smartphone, tablet o computer in cui non ci sono emininacode, numeretti e sale d’attesa. Uno spazio del soggetto e non dell’oggetto delle cure, uno spazio digitale del narrative self e non del quantified self.
2. La relazione digitale può essere più facile di quella face to face dell’intervista tradizionale. L’interazione virtuale è entrata nella pratica quotidiana: da WhatsApp a Facebook alle comunità online, si è sempre più abituati a raccontarsi a distanza.
3. Lo schermo del computer o del tablet connettono e proteggono al tempo stesso, favoriscono la vicinanza ma garantiscono la separazione. Uno dei rischi della medicina narrativa è un’identificazione eccessiva tra malato e curante, un contagio emotivo e personale che mette a rischio la capacità del medico di operare e curare. Lo spazio digitale accoglie e sa essere luogo di storie, garantendo la distanza e le differenze tra i ruoli.
4. Anche rispetto al metodo tradizionale del diario, il diario digitale può essere più efficace perché non è solitario, vive nello spazio/setting condiviso con il medico.
5. Un aspetto più operativo ma non irrilevante è che la raccolta digitale elimina i tempi di trascrizione delle storie che possono essere utilizzati per migliorare le analisi e le interpretazioni.
Per ora sono ipotesi. Digital Narrative Medicine ci darà la possibilità di sperimentarle e verificarle.