Prendiamo l’ascensore, scendiamo al piano -2 dell’ospedale e lì troviamo il mondo di vetrini dell’anatomo-patologo, tanto centrale nella diagnosi e nel follow up del paziente oncologico, quanto spesso invisibile.
E’ la bella immagine che ci restituisce Marco Campione, Presidente e Amministratore Delegato di GE Healthcare Italia e dei Paesi del Sud Europa. Il 95% dei casi di tumore, ricorda Campione, è legato ad un’indagine anatomo-patologica, un mondo per ora ancora prevalentemente analogico, caratterizzato da microscopio, vetrini e condivisione postale delle informazioni, quando ci si riesce.
Per quasi 10 anni l’Università di Pittsburgh e GE Healthcare hanno studiato le modalità migliori di digitalizzazione del lavoro dell’anatomo-patologo, coinvolgendo 30 patologi e 13 centri di eccellenza in tutto il mondo, ma anche specialisti dell’interazione uomo-macchina. Da questa partnership nasce OMNYX, un progetto di digital pathology che utilizza un’apparecchiatura simile a uno scanner per tradurre i vetrini in immagini digitali, che si guardano in un monitor e non al microscopio. Le immagini ad alta risoluzione possono essere esplorate con software ad hoc, ma anche condivise facilmente. In passato, per confrontarsi o ottenere una seconda opinione il patologo doveva spedire i vetrini con i campioni biologici, con tempi lunghi e rischi di danneggiamento.
Come racconta Giuseppe Cogliandro, General Manager per l’Healthcare IT di GE Healthcare, la progettazione ha tenuto conto degli aspetti medico-scientifici, ma anche delle tecniche del corpo del patologo. Per chi è abituato a guardare in basso, nel microscopio, il guardare in alto nel monitor rappresenta già una discontinuità significativa. Per rendere più facile il passaggio, è stato allora introdotto un joystick che consente al patologo di conservare la postura e il movimento delle mani identici al passato. Sono aspetti di design technology che spesso vengono sottovalutati e che invece possono rappresentare punti di forza fondamentali per il successo di una tecnologia.
OMNYX ha un impatto non solo sull’efficacia e l’appropriatezza della pratica medica ma anche sul vissuto e l’empowerment del paziente. Nel modo dei vetrini, l’analisi anatomo-patologica arrivava al paziente come un ‘verdetto’ di vita o di morte, sintetizzato dalle due parole simbolo del responso ‘benigno’ vs ‘maligno’. Nel processo analogico si perdeva la valenza interpretativa e probabilistica dell’indagine che diventava per i pazienti una sentenza senza appello, vista anche la difficoltà concreta di una seconda opinione e di un lavoro di team. Come dice Marco Campione, l’ambizione di OMNYX non è solo quella di digitalizzare il mondo della patologia, ma di spostare l’anatomo-patologo dal piano -2 dell’ospedale, al +2, di integrarlo nel team di cura, di proiettarlo in un network internazionale di specialisti, capaci di confrontarsi real time per diagnosi e follow up più veloci e più accurati. Se esce dall’isolamento analogico, l’anatomo-patologo può facilitare un approccio sistemico e personalizzato in oncologia.
OMNYX non rappresenta infatti solo una soluzione tecnologica, ha l’obiettivo di creare un network di professionisti e di dati. OMNYX valorizza al tempo stesso: l’esperienza clinica specifica del singolo patologo, l’accessibilità di grandi banche dati, software sofisticati di analisi.
Il recente accordo tra GE Healthcare e la rete di laboratori LABCO offre un contributo immediato e operativo all’integrazione e alla costruzione del network in patologia. Inizialmente il network coinvolgerà circa 50 patologi in Spagna e 15 nel Regno Unito, ognuno fortemente specializzato nel proprio campo clinico. Il progetto è di creare a breve una rete di tutti i laboratori presenti in Europa, con l’obiettivo di arrivare a collegare tutti i patologi del network di LABCO, che coinvolge oltre 25 milioni di pazienti ogni anno in Spagna, Regno Unito, Francia, Belgio, Portogallo, Svizzera e anche Italia.
In un futuro prossimo, la patologia digitale contribuirà forse al superamento della dicotomia oracolare benigno-maligno, favorendo la consapevolezza che il tumore si può sempre di più curare.