Una radiografia può essere pensata come un ritratto? E’ l’ambizione di Alessio Schiavone, manager di GE Healthcare e responsabile di DoseWatch.
DoseWatch è un progetto che consente di misurare le radiazioni assorbite durante le indagini diagnostiche come tac o mammografie. Ma cosa c’entra il ritratto con la misurazione delle radiazioni? Dobbiamo partire da lontano. Dal sotto la pelle, che, nella contemporaneità, ha perso il contatto con l’identità ed è diventato un insieme di organi apparentemente anonimi e indifferenti al soggetto. Fotografati dalle apparecchiature diagnostiche il mio femore, il mio polmone, il mio seno, diventano spersonalizzati e meccanici, ridotti a categoria: il femore, il polmone, il seno. L’immagine opera un trasferimento del possesso dell’organo dal soggetto al medico, che se ne appropria con il linguaggio e lo sguardo.
Ancora oggi, ci racconta Schiavone, gli addetti alla ripresa spesso non inseriscono nel software neanche l’età e il peso del paziente. DoseWatch capovolge il paradigma. Non si tratta solo di misurare le radiazioni, ma di impostare un progetto diagnostico che prenda in conto tutte le caratteristiche importanti del soggetto per ottenere il miglior equilibrio possibile tra qualità dell’immagine, radiazioni assorbite e, aggiungo io, appropriazione del “sotto la pelle”.
La storia di DoseWatch è un bell’esempio di convergenza tra il potenziale innovativo di progetti individuali e la visione strategica di una grande multinazionale. Tutto comincia a Strasburgo nel 2008: circa 300 pazienti vengono sottoposti a un esame angiografico che, per un malfunzionamento del macchinario, eroga una dose di radiazioni più alta della media, provocando effetti collaterali sulla pelle. In assenza di un sistema di monitoraggio, nessuno si accorge dell’errore e viene aperta un’indagine. In seguito a questo episodio, un fisico medico francese inventa DoseWatch e avvia un progetto pilota all’Università di Strasburgo. Nel giro di pochi anni il sistema viene acquisito da GE che lo diffonde a livello internazionale.
La prima installazione di DoseWatch in Italia è del 2011 e attualmente è utilizzato in 60 strutture. Nello specifico, DoseWatch consente ai centri di monitorare attraverso indicatori costanti i livelli di dose erogata ai pazienti 24 ore su 24, per il 100% degli esami, rendendo possibile l’integrazione e la comparazione. I dati raccolti possono aiutare medici, radiologi e tecnici sia a perfezionare i protocolli standard, sia ad adottare misure di prevenzione per le successive esposizioni del singolo paziente, arrivando ad una dose di radiazioni personalizzata. Questa possbilità ha grande rilevanza, soprattutto nel caso di soggetti particolarmente esposti come i bambini e le donne. Uno dei prossimi obiettivi è collegare i sistemi radiologici in una ‘rete intelligente’ che alimenti un database con gli indicatori delle dosi di tutti gli esami eseguiti.
DoseWatch è un progetto di industrial internet, una categoria inventata da GE Healthcare per identificare il collegamento tra macchine e internet per la generazione in rete di big data. GE Healthcare e Aifm (Associazione Italiana di Fisica Medica) hanno portato avanti insieme il progetto Galileo-DoseWatch, il primo studio sulla gestione della dose assorbita dal paziente in radiologia, condotto non in manuale, ma attraverso il software di GE Healthcare. Lo studio ha coinvolto dieci strutture italiane, consentendo la condivisione dei dati provenienti da trenta sistemi tra Tac e angiografi. Tra agosto e ottobre 2013 sono state raccolte informazioni relative a quasi 43mila Tac e 3.000 angiografi . In manuale, una raccolta di dati di queste dimensioni sarebbe stata impossibile.
DoseWatch è una sperimentazione interessante di glocal big data. Da un lato, attraverso la rilevazione automatica delle radiazioni emesse da migliaia di macchine, consente di definire e adattare i protocolli, dall’altra pone le basi per la personalizzazione dell’esposizione radiografica sulla base della storia personale e diagnostica del paziente. L’industrial internet per essere efficace deve sempre più essere glocal: rilevare l’universo per arrivare al “me”.
DoseWatch stimola anche a inventare un nuovo linguaggio e nuove modalità di interazione tra il soggetto e l’operatore. Una bella etnografia di Margitta Zimmermann mostra la densità simbolica del setting della radiografia. Spesso aspettative, paure, bisogni del paziente si scontrano con lo sguardo metallico e respingente non solo della macchina ma anche dell’operatore. Trasformando questo setting in un progetto personalizzato, DoseWatch pone le premesse per riscoprire l’importanza della narrazione per l’indagine diagnostica, per pensare la radiografia come un ritratto e restituire il “sotto la pelle” al soggetto.