La seconda edizione del PDHA, organizzato dalla Digital Health Academy con 43 associazioni dei pazienti e il contributo incondizionato ma appassionato di Fondazione MSD, è stata anche l’occasione per interrogarci sul concetto di umanesimo digitale e tecnologico. In molti abbiamo messo in discussione lo stereotipo che le tecnologie si associno a spersonalizzazione e disumanizzazione. Ma è il punto di vista di noi entusiasti digitali o è condiviso anche da chi vive con una malattia e ha quindi bisogno di vicinanza, comprensione e complicità? Abbiamo quindi chiesto alle 43 associazioni dei pazienti della giuria del PDHA di raccontarci quanto è umana la tecnologia.
L’indagine, condotta tra luglio e settembre 2019, ha coinvolto 925 persone, il 75% donne e il 25% uomini, con una età compresa tra i 18 e 75 anni.
Abbiamo pensato di raccontare i risultati principali insieme a frasi esemplari di scienziati, scrittori, pensatori. Il risultato è un manifesto per l’umanesimo digitale articolato in cinque dimensioni chiave.
#1 Le tecnologie digitali migliorano la vita delle persone
“Io non temo i computer. Temo la loro mancanza.” (Isaac Asimov)
Pochi dubbi per gli intervistati: negli ultimi 10 anni le tecnologie digitali hanno migliorato la vita delle persone (“molto” per il 40%; “abbastanza” per il 52%), e lo faranno ancora di più nei prossimi 10 anni. Quando provano ad immaginare quanto il digitale impatterà positivamente sulle vite, il 46% sostiene “molto” e il 44% risponde “abbastanza”. Quando invece si esprimono su quanto la tecnologia abbia migliorato la loro vita quotidiana, come singole persone, il 54% sostiene “molto” e solo il 2% risponde “per niente”.
#2 Una tecnologia è umana se risponde ad un bisogno ed è facile
“Complicare è facile, semplificare è difficile.
Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare”. (Bruno Munari)
Una tecnologia è umana soprattutto se risponde ad un bisogno reale delle persone (69%) e se è facile da utilizzare (61%); seguono, poi, la validità scientifica (49%), l’accessibilità (39%) e infine il rispetto delle regole della privacy (28%). Nella prospettiva dei pazienti, ciò che rende umana una tecnologia è il percorso che ne guida la progettazione e la realizzazione. Il punto di partenza non è infatti la ricerca della tecnologia più avanzata ma di quella più appropriata per un bisogno effettivo. Tra i progetti candidati al premio, abbiamo osservato tra il 2018 e il 2019 un miglioramento delle strategie di ascolto e di misurazione dei risultati, segno che il PDHA è un momento di confronto e di coinvolgimento delle associazioni ma anche un’occasione per i progettisti per integrare un approccio più bio-psico-sociale.
#3 L’intelligenza artificiale è al servizio dell’intelligenza relazionale
“Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno”. (Albert Einstein)
In tutti gli ambiti di applicazione, le tecnologie negli ultimi anni hanno fatto progressi fino a poco tempo fa impensabili. Nella salute, in particolare, l’intelligenza artificiale rappresenta per gli intervistati “una possibilità affascinante” (49%), “una opportunità di liberare tempo e risorse per la relazione medico-paziente” (44%), un modo per “ridurre gli errori umani” (30%), mentre solo per il 6% è una “possibilità pericolosa”.
Per le persone con una malattia, l’intelligenza artificiale non delinea asettici scenari di automatismi e disumanizzazione. Al contrario, può facilitare il recupero di una relazione più personalizzata con il proprio curante, può facilitare l’integrazione di biomedico e biografico.
#4 Il fake è in “noi” e non nelle tecnologie
“Una notizia falsa nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita…. La falsa notizia è lo specchio in cui «la coscienza collettiva» contempla le sue fattezze”. (Marc Bloch)
Per il 42% degli intervistati le fake news sono sempre esistite, oggi assumono una rilevanza maggiore per la velocità con cui riescono a diffondersi. Tuttavia, per il 38% non sono le tecnologie ad essere responsabili ma gli utenti che hanno il potere di agire criticamente. Quando una notizia falsa appare significa che da qualche parte qualcosa non va: un bisogno non soddisfatto, una incapacità comunicativa, una negazione, una incomprensione.
#5 Un entusiasmo critico per il nostro futuro tecnologico
“L’entusiasta è un infaticabile sognatore, un inventore di progetti, un creatore di strategie, che contagia gli altri con i suoi sogni. Non è cieco, non è incosciente. Sa che ci sono difficoltà, ostacoli talvolta insolubili… Cerca continuamente strade, sentieri alternativi. E’ un creatore di possibilità”. (Francesco Alberoni)
Il 45% degli intervistati pensa ci sia bisogno di più educazione digitale e di una maggiore consapevolezza nell’utilizzo delle tecnologie digitali. Il 41% pensa che dovremmo focalizzarci sulle nuove opportunità che la tecnologia offre nel risolvere i problemi e migliorare la vita delle persone. Il riconoscimento del valore delle tecnologie contemporanee richiama subito l’importanza della creazione di un mindset e di strutture organizzative adatte ad usarle.
Queste cinque dimensioni sembrano aver implicitamente guidato anche la scelta dei vincitori che hanno tutti in comune la capacità di rendere più umane le relazioni di cura e il percorso con la malattia. Il primo classificato Brain Control consente di comunicare anche a chi è nella condizione di locked in, cioè impossibilitato ad usare qualsiasi funzione e strumento, incluse le palpebre. Al secondo posto, Bravo, una piattaforma dedicata ai pazienti affetti da ADHD e ai loro terapisti, che nasce dalla necessità di coinvolgere i bambini nel processo di cura limitando in questo modo l’atteggiamento oppositivo spesso dimostrato nei confronti della terapia classica. Grazie a un videogioco si cattura l’attenzione del bambino per vincere la diffidenza iniziale e creare un ambiente più̀ rilassato in grado di predisporre il paziente alla terapia. La terza classificata, PatchAI trasforma in realtà il coinvolgimento dei pazienti durante i trial clinici, utilizzando Intelligenza Artificiale e un assistente virtuale empatico costruito su IBM WatsonTM che interpreta i bisogni dei pazienti, implementa strategie personalizzate e raccoglie dati su sintomatologia, eventi avversi, aderenza alla terapia e qualità di vita. Infine l’idea vincitrice, Mission – MultISenSory Integrated system for patient cOmpliaNce improvement , consente al paziente oncologico di scegliere l’ambiente visivo e sonoro più appropriato alla sua situazione, con possibili ricadute positive sulla compliance.
Il PDHA19 mostra che oggi non mancano le tecnologie, mancano le organizzazioni e le persone capaci ad implementarle nel quotidiano e questo rischia di essere profondamente disumano.