“L’attraversamento dello specchio simboleggia, come in Alice nel paese delle meraviglie, il passaggio in una dimensione conoscitiva differente. Lo specchio è usato come metafora da Parmenide e dal Taoismo e in esso Dioniso vede riflessa non la propria immagine, ma gli accadimenti del mondo”. (Matera, Agosto 2019, mostra Ars Excavandi)
Matera in questi giorni da capitale europea della cultura è un crocevia di mostre grandi e piccole, di iniziative, di eventi che traggono forza dalle associazioni spontanee che evocano, proprio perché non c’è un filo conduttore unico. Cortocircuiti conoscitivi che consentono di vedere le cose in modo diverso, cosa chiedere di meglio.
Visitando la mostra Ars Excavandi mi ritrovo così a riflettere sullo specchio, i selfie e Instagram. Molto spesso i selfie sono stati pensati sotto il segno di Narciso e quindi come dimostrazione di un orientamento generalizzato ad innamorarsi di se stessi. Il riferimento a Dioniso mi evoca invece una complessità più ampia del selfie e dell’autorappresentazione digitale. Secondo un mito orfico, Dioniso Zagreo viene attratto dai Titani con alcuni giochi e divorato mentre in uno specchio vede non se stesso ma l’immagine del mondo. Rinascerà poi dal proprio cuore. Per Dioniso lo specchio si associa a conoscenza, metamorfosi, morte e rinascita. Come ricorda Vernant analizzando le Baccanti di Euripide:
“Dioniso, quando si manifesta, non ha alcun ordine da rispettare circa il suo modo di apparire, giacché non c’è alcuna forma prestabilita che gli convenga più di un’altra e nella quale dovrebbe trovarsi rinchiuso una volta per tutte”.
Ecco forse cosa fanno molti adolescenti su Instagram: si guardano e si offrono allo sguardo mentre necessariamente cambiano, diventano altro, nell’incontro con luoghi, paesaggi, fiori. Io e mondo in continuo cambiamento. ‘Postare’ foto di se stessi su Instagram rimanda al bisogno di esplorare e giocare intorno alla propria identità, ma nello stesso tempo di raccontare il mondo che attraversano. Come per Dioniso, la propria immagine diventa specchio del mondo e non solo di se stessi. Nell’album di famiglia, i ritratti fotografici hanno sempre un qualcosa di mortifero, associato alla non riproducibilità del momento che fotografano e alla distanza rispetto al presente. Nel loro succedersi istantaneo, le foto su Instagram hanno la vitalità del quotidiano e della metamorfosi, possiamo eliminarle e aggiungerne, riscrivendo la nostra storia dal punto di vista dell’oggi . Non ci fissano non in un momento ma in un cambiamento.
In un post molto stimolante, Luca De Biase recensisce il libro di Kate Eichhorn, storica delle tecnologie e dei media, The End of Forgetting, Growing Up with Social Media. Si chiede Luca: “Che cosa succede ai bambini la cui memoria biografica viene fissata in una quantità di foto che li riprendono in viso in modo identificabile e che sono poi condivise online?”. A me viene da chiedermi, cosa succede ad una persona, bambino o adulto che sia, quando questo scouting fotografico permanente di se stesso e del mondo incontra la malattia? Cioè un momento di cesura e di trasformazione non voluta del corpo e dell’identità? Dopo Matera, a Metaponto, nel museo archeologico, incrocio un vaso bellissimo con la rappresentazione della ninfa IO che si specchia mentre si trasforma in giovenca. E’ possibile come la ninfa IO riuscire a guardarsi mentre ci si trasforma nonostante la propria volontà?
Martina Rodini, Beauty Blogger con 33mila follower, pubblica sulla sua pagina IG i video dello “scrub per una pelle liscia” e quello che le sta accadendo da quando le hanno diagnosticato un tumore al seno. Alterna foto in cui ha i capelli ancora biondi e lunghi a post con la bandana. Nel post del 6 settembre è sorridente con il suo bambino e scrive: “Mi sento prigioniera e allo stesso tempo libera. Prigioniera di una situazione e a volte di un corpo, che non mi appartengono. Libera di scegliere come vivere la mia vita e con chi viverla, nonostante tutto il resto. Il cancro fa paura, rende fragili, tristi, arrabbiati, coraggiosi, determinati, in certi momenti ci rende anche più leggeri….”.
Nel mondo analogico, soprattutto se si tratta di un tumore, lo sguardo collettivo sembra incapace di vedere oltre il dolore e costruisce una maschera che intrappola la persona nel male, facendola sentire ancora più prigioniera.
L’autorappresentazione digitale può forse invece diventare lo specchio che consente l’accesso ad un altro mondo, un mondo in cui conoscersi e farsi conoscere nella molteplicità dei vissuti e delle situazioni, sfuggendo alla fissità del dolore e della malattia. Specchiarsi mentre in qualche modo ci si appropria del cambiamento, come sembra suggerirci IO in uno splendido vaso del V secolo a.C.