Il convegno a Rovigo, La medicina di laboratorio tra la persona, la digitalizzazione e la robotica ha rappresentato l’occasione per recuperare la ragione profonda per cui sono diventata antropologa: problematizzare l’ovvio.
Preparando il mio intervento, mi sono ritrovata a chiedermi: ma cos’è un esame di laboratorio? Com’è possibile che il mio sangue, le mie urine, la mia saliva raccontino come sto, se devo mettermi a dieta, se mi tornerà il ciclo, se ho una malattia infettiva, e così via? Com’è possibile che tanto della mia vita possa dipendere da queste analisi? E chi è questo medico di laboratorio che valida e firma questi valori e questi numeri? Come mai non l’ho mai incontrato? Dov’è nascosto?
Bruno Biasioli, past president della SIPMeL, Società Italiana di Patologia Clinica e Medicina di Laboratorio, e Alessandro Camerotto, direttore del laboratorio dell’Azienda ULSS5 Polesana, organizzatori del convegno, ci accompagnano in un percorso affascinante negli interrogativi e nei nuovi scenari della medicina di laboratorio.
Biasioli ricorda la definizione di referto di Angelo Burlina, nell’Introduzione alla Medicina di Laboratorio del 1982: “Referto: è la relazione clinica, la risposta del medico. Il termine deriva dal latino medioevale referre: riferire. Non va assolutamente confuso in medicina di laboratorio con il reperto pure di derivazione latina, da reperire che significa trovare: quest’ultimo è, infatti, un dato bruto, il risultato di una ricerca. Il reperto diventa referto in seguito all’interpretazione del medico che lo carica di significato informativo”.
Se quindi il referto è l’interpretazione di un medico, perché questo medico è invisibile al paziente? Perché si manifesta solo attraverso la sua risposta?
Come osserva Alessandro Camerotto, in passato questa osservazione sarebbe stata liquidata rapidamente: il referto è l’interpretazione di un medico per un altro medico, che a sua volta diventa mediatore del significato con il paziente.
Con l’innovazione digitale, qualcosa però oggi è cambiato radicalmente e si fa fatica a coglierne pienamente l’impatto. Con la digitalizzazione del referto, il risultato arriva direttamente al paziente sul suo device, ovunque egli sia. E magari la visita con il medico mediatore è programmata per molti giorni dopo. Ma non è solo questa immediata accessibilità a trasformare lo statuto del referto nel rituale dell’atto terapeutico. Il paziente ha infatti ora anche la possibilità di interrogarsi sul referto nell’arena della conversazione digitale. Può ricercarne il significato nel passaparola collettivo online sempre disponibile. Il reperto, diventato referto nell’interpretazione del medico di laboratorio, diventa per il paziente responso, non più di un’autorità superiore e oscura, ma di un oracolo collettivo che ne media il significato e l’impatto sulla percezione individuale.
Nel frammento 93 DK di Eraclito, tradotto dallo storico della filosofia Umberto Curi nel bel libro Endiadi si dice: “Il Signore il cui oracolo è a Delfi non afferma e non nega, ma dà segni”. Ecco, l’oracolo google, portale di accesso alle comunità significanti selezionate dalle nostre aspettative, non afferma e non nega, produce significati dal punto di vista del soggetto, che potrebbero non coincidere con il significato e le prospettive delineate dal referto del medico.
La soluzione è quindi evitare che il paziente acceda ai referti senza la mediazione di un medico? Qualcuno prova a invocare nostalgicamente il medico sciamano, unico depositario di lingue e saperi della cura. Con più lucidità, Antonio Compostella, direttore generale dell’Azienda ULSS5 Polesana, si chiede quali possano essere le strade per costruire una nuova autorevolezza culturale.
Una prima tappa irrinunciabile per il medico di laboratorio è uscire dall’oscurità. Privato del potere oracolare di un dio nascosto, non gli resta che diventare un medico in carne ed ossa nella relazione di cura. Ne è convinto Alessandro Camerotto che propone di capovolgere il punto di vista e di scrivere il referto per il paziente prima ancora che per il medico. Lavorare a una narrazione del responso e non solo del referto, questa è una prima indicazione di lavoro per la SIPMeL.
Ma il cambiamento della medicina di laboratorio non riguarda solo la relazione medico-paziente e il nesso tra reperto, referto e responso. Investe anche il binomio iniziale e cioè il passaggio dal reperto al referto, che anch’esso va problematizzato. Cosa succede al referto se cambia il dispositivo che genera il reperto?
Ancora una volta è Camerotto a raccontare efficacemente cosa sta succedendo nei laboratori.
“In 9 mesi abbiamo cambiato tutte le nostre tecnologie. E’ come se fossimo entrati in una fornace ardente. Quello che è accaduto a noi è in piccolo quello che sta accadendo su grande scala nel mondo”. Non era raro in passato vedere medici girare con il cacciavite per sistemare la macchina, che si percepiva sotto il proprio controllo. Ora le macchine le sistema un tecnico in remoto dal Giappone. Il reperto si origina attraverso percorsi tecnologici e robotici che offrono grandissime opportunità ma rischiano di sfuggire al controllo interpretativo che poi genera il referto. Per questo servono nuovi approcci alle competenze, alle conoscenze e ai percorsi che generano l’appropriatezza prescrittiva.
Si profila molto lavoro per la SIPMeL nei prossimi mesi e anni nell’ottica di una sanità del XXI secolo che come raccomanda il sociologo Massimo Tosini dovrà integrare persona, digitale e robotica per tradurre in realtà operativa l’imperativo sostenibile: meno e meglio