Mi ritrovo a leggere il libro di Roberto Ascione, Il futuro della salute, nella biblioteca di un castello Rinascimentale, un luogo che, ad una prima valutazione superficiale, potrebbe apparire poco appropriato o nostalgico.
In uno degli ultimi libri di Zygmut Bauman, Retrotopia, trovo una bella definizione di nostalgia di Svetlana Boym, docente di letterature slave e comparate a Harvard: “nostalgia è un sentimento di perdita e, spaesamento, ma è anche una storia d’amore con la propria fantasia”.
Sì, mi riconosco: provo un senso di spaesamento e rincorro le mie fantasie. Mi guardo intorno. Gli affreschi sono ispirati alle Metamorfosi di Ovidio, il più bel racconto di trasformazione radicale che l’umanità abbia prodotto. Da eroe a fiore, da umani a animali. E così via. Nessuna forma resiste alla potenza del cambiamento. Nessun confine e nessuna pelle riescono a arginarlo.
La biblioteca accosta la prima edizione dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, all’opera completa di Freud, alle 120 Giornate di Sodoma di de Sade. In un unico spazio la Ragione che osserva e classifica; l’inconscio, la rimozione, il sogno; la violenza e il piacere. Di tutto questo siamo fatti noi umani. Tutto questo impregna la rappresentazione e la gestione della malattia e della cura.
Roberto Ascione ci racconta una di quelle rivoluzioni che poche volte gli umani hanno avuto modo di vivere, quelle rivoluzioni che diventano metamorfosi, che fanno saltare i confini noti. Quei rari momenti della storia, che mettono in discussione i quadri cognitivi ed emotivi con cui diamo senso e significato a noi stessi e a quello che ci circonda.
Proprio per questo il libro è organizzato in due parti. La prima, “Riflessioni digitali”, racconta la “rivoluzione inarrestabile”. La seconda, dà spazio alle “Riflessioni umane” originate dal cambiamento.
In realtà, la biblioteca “umanistica” del Castello non mi è di ostacolo, mi aiuta a vedere che il libro di Roberto non ci racconta solo di grandi innovazioni tecnologiche, ci fa riflettere su un nuovo possibile umanesimo digitale. Dopo aver elencato le cinque rivoluzioni della salute del futuro, Roberto aggiunge “digitale=più umanità, ovvero la sesta rivoluzione”. Esploriamone alcune dimensioni a partire dalla prima riflessione umana che ci viene proposta: “medico vs paziente”. Tra “doctor google”, il protagonismo dei pazienti, gli obblighi normativi, e l’intelligenza artificiale, i medici sembrano perdere legittimazione sociale, identità del ruolo, efficacia percepita del loro contributo. “Ma il medico scomparirà?” ci chiede Roberto. La risposta è confortante ma anche molto sfidante. Lancia uno dei percorsi più ambiziosi della sesta rivoluzione. Il medico non scomparirà se diventerà, grazie alle tecnologie, più umano. Se saprà investire il tempo liberato grazie all’efficienza digitale, in una relazione personalizzata e in un percorso di salute sempre più su misura. Non andremo dal medico per curarci, ma per evitare di ammalarci. Sembra una promessa allettante, ma perché funzioni richiede un nuovo impegno e un nuovo patto di cura. Per coglierlo meglio, consideriamo alcuni aspetti antropologici.
- La medicina preventiva. Anche la medicina basata sul sacro è una medicina preventiva. In quei sistemi culturali, la malattia nasce dalla violazione di tabù collettivi codificati e gestiti dall’autorità religiosa e politica. Per non ammalarsi, occorre rispettare i tabù. La medicina preventiva del futuro rischia di generare un insieme di tabù alimentari e comportamentali, che però nessuna autorità ha deciso, che nascono dalle ondate di ipocondria o paura collettive, o da strategie commerciali. Una dieta vegana integralista per difendersi dal tumore è pericolosa quanto l’uso di cure non appropriate. Chi individua le aree della prevenzione, chi le soglie e gli strumenti di monitoraggio, e come si coniuga questo con il piacere, i desideri, i progetti di vita o l’ambivalenza verso il bene degli umani? Il medico diventa un mediatore e un garante fondamentale della medicina preventiva, che dovrà basarsi, come ricorda Roberto, su una “validazione scientifica”, così come ora accade per i farmaci. In questa sua nuova veste il medico non sarà più però un prescrittore, sarà un custode della soglia tra lo stare bene e lo stare male.
- I big data personali. Vi siete mai chiesti perché non incorniciamo la nostra radiografia? E’ difficile anche che la condividiamo sui social con gli amici. I nostri dati sono una sorta di ombra/impronta del nostro corpo e di noi stessi. Rivelano aspetti di noi che sfuggono al nostro controllo, talvolta rivelano il male che non sapevamo di avere. Sono in qualche modo un nostro doppio più o meno oscuro. In passato, delegare i nostri dati al medico e all’organizzazione sanitaria, significava perderli per noi stessi, ma anche metterli in sicurezza, conferirli a qualcuno che sapeva come trattarli e come interpretarli . Pensiamo il carico di ansia che accompagna ogni TAC, ogni risonanza, ogni esame del sangue. Cosa succederà quando saremo noi stessi, autonomamente, a produrre la maggior parte dei nostri dati e in una misura neanche immaginabile ora? La moltiplicazione dei dati, rischia di portare con sé la moltiplicazione dell’ansia. Oppure di generare illusioni onnipotenti di controllo del proprio corpo. L’Internet of things nella salute, rischia di trasformarsi in “evil of things”, dispositivi carichi di messaggi e presagi su di noi, che non sappiamo come interpretare e come affrontare. Anche in questo caso, resta fondamentale che al centro ci sia una relazione “umana” con un team di cura, che possa accogliere e ridurre il potenziale negativo del misurare e del sé tradotto in numeri che diventano ombre. Il medico dovrà accompagnarci in questo percorso in noi stessi e per noi stessi. Il tempo di relazione diventerà un tempo di cura.
- La medicina predittiva. La grande mole di dati su noi stessi e l’accessibilità delle indagini genetiche renderà sempre più facile prevedere di cosa potremmo ammalarci. Qui entra un’altra parola carica di ambivalenza: la profezia. Come vivere queste profezie su noi stessi? Come gestire le decisioni che richiedono? Anche in questo caso, è importante che un team curante sia in grado di accompagnarci.
La salute e la medicina del futuro richiedono nuove mappe per orientarsi in queste metamorfosi dell’umano. E’ entusiasmante ma non facile. Servono nuovi percorsi formativi che favoriscano l’incontro di tutte le figure della cura con antropologi, filosofi, storici e artisti. Anche per questo, insieme a Roberto Ascione, abbiamo creato la Digital Health Academy, per riportare le competenze umane, al centro del percorso di trasformazione digitale. I robot potranno fare molto bene e meglio di noi moltissime cose, difficilmente potranno accompagnarci nel dare un senso e un significato al male e alla sua gestione. I medici hanno dimenticato questo ruolo, dovranno imparare a riscoprirlo, perché sarà una componente fondamentale della loro nuova identità.