Ogni giorno una persona con diabete affronta in media 180 decisioni relative alla propria salute, raccogliendo e valutando informazioni che vanno dai livelli di zucchero nel sangue al tipo di alimentazione. Spesso siamo incerti sul dosaggio di un antibiotico, immaginiamo cosa possa significare confrontarsi e convivere con un monitoraggio costante del proprio stato di salute e con continui adattamenti delle terapie.
La rivoluzione digitale offre un’opportunità reale e accessibile di migliorare la qualità della vita di chi vive con il diabete e, più in generale, con una malattia cronica. La moltiplicazione degli strumenti rischia però di generare confusione e un ulteriore disorientamento. Sono nate centinaia di app per migliorare le misurazioni e facilitare la vita quotidiana. App collegate direttamente al glucometro, app che usano la gamification per incentivare l’autogestione, app che offrono ricettari divertenti. In contemporanea, le comunità virtuali di pazienti consentono di condividere esperienze e bisogni, facilitando il raggiungimento degli obiettivi collegati a stili di vita e terapie. E ancora i programmi di telemedicina contribuiscono fortemente al miglioramento degli indicatori e riducono l’ospedalizzazione. Tutte queste opportunità sono utili ed efficaci ma rischiano di produrre una percezione di parcellizzazione e frammentazione della propria esperienza di malattia e della propria identità. Frammenti di sé vagano in aree diverse del virtuale, sfuggono, si perdono, depotenziando il valore di innovazione del digitale. Anche quando si parla di integrazione e interoperabilità delle piattaforme, prevalgono le problematiche tecniche, con poca attenzione al vissuto e all’efficacia degli strumenti.
Philips propone un cambio di paradigma che potrebbe diventare un punto di riferimento fondamentale per la salute digitale del futuro. Il punto di partenza non sono gli algoritmi ma la persona e la continuità della cura. Health Suite Digital Platform di Philips consente di sviluppare un modello sanitario collaborativo tra professionisti e pazienti, grazie all’integrazione del monitoraggio in remoto dei dati con una comunità virtuale.
La piattaforma è pensata non come pura aggregazione di dati, ma come un hub digitale con al centro la persona, con i suoi dati (clinici e personali) ma anche le sue relazioni, accessibili attraverso una comunità virtuale di pazienti, caregivers e professionisti sanitari. La piattaforma riesce a integrare in modo efficace il self management, la personalizzazione del percorso e la co-produzione della salute, dimostrando che queste tre dimensioni chiave della cura si rafforzano reciprocamente. La piattaforma rispecchia l’Io come hub intorno a cui ruotano dati, relazioni, emozioni, clinica.
Il primo prototipo della Health Suite Digital Platform è stato introdotto nell’area del diabete di tipo I, in un progetto realizzato in collaborazione con l’olandese Radboud University Medical Center e il partner IT, Salesforce.
La soluzione digitale di Philips integra un’app, con le informazioni provenienti dalle misurazioni effettuate dal paziente, dai vari dispositivi personali per la salute e dalle cartelle cliniche elettroniche, con una community online, nella quale pazienti e medici possono interagire in un ambiente collaborativo e protetto. L’integrazione del monitoraggio con la comunità virtuale consente di condividere anche le innovazioni sperimentate dal singolo ma efficaci anche per altri. Da una ricerca di Denita Cepiku, dell’Università di Roma Tor Vergata, emerge che il 53% dei pazienti ritiene di aver sviluppato un’innovazione, soprattutto per se stessi, nel primo anno di malattia, utile anche per altri, oltre i 5 anni. Spesso queste innovazioni restano conquiste individuali. Una piattaforma come hub consente di valorizzarle e di moltiplicarne l’efficacia.
Le tecnologie possono funzionare molto meglio se integrano il consulto e il monitoraggio, i dati e le relazioni. Il self management è più facile se si associa alla co-produzione, al percorso condiviso, con i curanti ma anche con gli altri “pazienti come me”. Sara Rubinelli dell’Università di Lucerna, esperta di self management, mette in guardia contro le trappole dell’autogestione affidata all’informazione e ai dati L’informazione è sempre soggettiva, filtrata da bisogni e desideri. Troppo spesso il progetto di self-management dimentica il piacere e diventa faticoso per il paziente. Il peer counselling diventa fondamentale per restituire energie e motivazione, ancor di più se accessibile in un unico ambiente con i curanti e un monitor di dati che, per una volta, non divide e frammenta, ma unisce e semplifica.