Perché cerchiamo di tutto su google e soprattutto perché ci fidiamo delle risposte che troviamo, anche se spesso non lo ammettiamo?
Chi è google? “If google was a guy” mostra come suonerebbero ridicole le nostre richieste se fossero rivolte a qualcuno dietro ad una scrivania sommersa di carte.
Ma google non è una persona, non è qualcuno che conosciamo e allora perché gli affidiamo tanto di noi?
Ci siamo interrogati su tutto questo nel corso del Primo Congresso Nazionale di Medicina Narrativa organizzato dal Presidente Virzì e dal suo team, con l’obiettivo di non condividere semplicemente e pigramente slide ma storie e idee.
Per stimolare la problematizzazione dell’ovvio e recuperare uno “sguardo da lontano”, gli amici di Ragusa mi hanno affidato un laboratorio sul digitale privandomi di qualsiasi strumento digitale e riducendomi a carta e pennarello. Insieme a medici, psicologi, infermieri abbiamo allora lavorato ad una sorta di archeologia delle nostre pratiche digitali e abbiamo scritto in modo anonimo cosa ognuno di noi aveva cercato su google nelle ultime ore. Fibromialgia, albergo a Venezia, sofferenza, Miami sono alcune delle parole ricercate dai partecipanti al gruppo. Tutti avevamo cercato qualcosa e più o meno tutti abbiamo ammesso che “talvolta” ci fidiamo.
Secondo i dati del Monitor Biomedico 2014 del Censis, il 41,7% (+9,3% rispetto al 2012) degli italiani ricerca su Internet temi collegati a salute e malattia .
Perché cerchiamo? Perché “talvolta” ci fidiamo? Anche quando si tratta della nostra salute? Nel corso del laboratorio abbiamo condiviso alcune ipotesi di risposta.
1. Ci fidiamo perché troviamo conferme, troviamo ciò che vogliamo trovare, ci riconosciamo. L’intreccio di parole chiave che ognuno di noi usa su google ritaglia percorsi unici e spesso irripetibili, collegati al nostro mondo di bisogni, rappresentazioni, aspettative. Neanche l’amico più complice riesce a compiacerci quanto google.
2. Ci fidiamo perché google non contiene solo notizie ma anche persone. E’ un grande contenitore del sociale e del suo passaparola: un sapere informale e implicito che diventa accessibile con un click.
3. Ci fidiamo perché operiamo secondo i quadri cognitivi ed emotivi del social fact checking e non del vero/falso.
3. Ci fidiamo perché google ha “un’empatia clinica” che stentiamo a trovare nel medico. Trovo online racconti del mio disagio che lo fotografano esattamente come lo sento e non come lo descrive il medico. Raramente “sento di avere” quello che il medico dice. Molto spesso ho quello che un altro ha descritto online.
4. Ci fidiamo perché attraverso google possiamo incontrare lo sconosciuto che ha la cura inaspettata, l’agente del cambiamento. Prima l’innovazione era tutta delegata al medico, alla ricerca, alle sperimentazioni o al passaparola sotterraneo della speranza. Ora il paziente si sente innovatore, cerca, scopre, incontra lo sconosciuto che gli indica vie inaspettate di liberazione. C’è una aspettativa oracolare e profetica nel nostro digitare parole online.
Google mette il soggetto al centro di un crocevia narrativo che egli stesso contribuisce ad alimentare, in uno scambio di storie che per dimensioni e caratteristiche potremmo considerare un’epidemia narrativa.
Il rischio è una progressiva disintermediazione e delegittimazione della medicina come riferimento di saperi e metodi per la gestione della salute. Uno scenario raccontato bene da DocBastard in un divertente articolo sul Daily Beast: “Why You Trust the Internet more than Your Doctor?”
In questo contesto, la medicina narrativa può offrire i quadri concettuali e le metodologie per orientare verso la pratica clinica questa nuova e sempre più diffusa capacità narrativa del paziente. Giuliano Castigliego, “vicino di blog”, si è chiesto il perché ci sia bisogno dell’aggettivo “narrativa” per designare una pratica medica che dovrebbe essere semplicemente medicina.
Le storie che abbiamo condiviso a Ragusa aiutano forse a capire meglio questa esigenza, a partire da una duplice sfida: sistemica e digitale.
1. La sfida sistemica
Una sorta di riduzionismo elitario, ha spinto la medicina narrativa a organizzarsi intorno alla illness, alla raccolta del vissuto di malattia, come se la disease fosse di pertinenza solo del medico e la sickness del sociale. Il racconto della malattia online mostra invece che il paziente non vuole parlare solo del suo vissuto, vuole parlare della disease, dei sintomi e dei farmaci. Il paziente ascolta storie di altre pazienti, osserva se stesso e le trasformazioni generate dalla malattia e vuole raccontarle per arrivare alla diagnosi o individuare la terapia migliore. Certo, il paziente può anche invece confondere il medico, rendere il percorso più difficile, portare ad errori. Per questo, raccogliere la storia del paziente non significa mostrare empatia, comunicare meglio, saper ascoltare, significa avere le categorie e gli strumenti per interpretare le storie di malattia. Le storie servono se possono essere interpretate. Le humanities non bastano, servono metodologie sofisticate di analisi del testo e del discorso. In questa accezione sistemica e semiotica, l’aggettivo “narrativa” ha valore e utilità. Connota le storie come strumento della medicina sistemica, una medicina che come ha ricordato Christian Pristipino, ruota intorno alla irriducibile complessità del soggetto e che ha bisogno della narrazione, così come degli strumenti diagnostici più avanzati.
2. La sfida digitale
La medicina narrativa è il fattore che può trasformare la digital health o il caring delle comunità online in cure personalizzate co-costruite nella relazione medico paziente. Non amo le citazioni antiche, usate in modo spurio per dare senso al presente attravero un presunto sapere delle origini. Però ho trovato una citazione di Eraclito che non posso non riportare. E’ il frammento 93 DK tradotto dallo storico della filosofia Umberto Curi nel bel libro Endiadi: “Il Signore il cui oracolo è a Delfi non afferma e non nega, ma dà segni”. Ecco, l’oracolo google non afferma e non nega, produce senso e significato dal punto di vista del soggetto. Segni che, se riportati nella pratica clinica, possono perdere il valore fintamente salvifico e diventare strumenti per l’innovazione e la personalizzazione della diagnosi e della cura.
In una visione sistemica e digitale, la medicina narrativa è un punto di riferimento fondamentale, con la differenza rispetto al passato che oggi l’aggettivo “narrativa” può acquisire valenze nuove, non richiama solo la illness, ma un patrimonio di conoscenze e metodi che consentono di passare dalla crowd medicine su internet a una crowd medicine in ospedale.