La crowd medicine è una medicina collaborativa, facilitata dallo sviluppo delle tecnologie e delle relazioni digitali. Assume varie forme, dalle meno strutturare e informali (crowd caring) fino alle start up come crowdmed. Al centro della crowd medicine non ci sono un paziente e un medico, ma un crowdhero e la sua rete. Il crowdhero è il soggetto che diventa protagonista attraverso la costruzione collettiva in rete delle sue esperienze e delle sue scelte.
Il percorso di salute del crowdhero è una crowd medicine, che assume caratteristiche e valenze diverse:
1. Nella sua forma più semplice e diffusa, la crowd medicine è un percorso del tutto personale di ricerca e interazione online. Si parte dal motore di ricerca per arrivare alla blog terapia o alle community online. Le storie e i consigli degli altri aiutano a capire meglio i propri sintomi, mostrano pro e contro delle terapie, orientano verso la scelta del medico. In questa versione informale, la crowd medicine è un percorso di co-costruzione della propria malattia guidato dai propri bisogni e dalle proprie paure e aspettative. Può essere occasionale, legato a un problema specifico, può restare marginale rispetto al consulto medico, può arrivare all’autodiagnosi e all’autoterapia.
2. Più strutturata e duratura nel tempo, la crowd medicine che si costruisce nelle comunità online di pazienti, soprattutto quando si tratta di patologie croniche o a grande impatto come i tumori o l’AIDS. In questo caso, la co-costruzione è ancorata ad una partecipazione stabile alla community e alla condivisione della propria storia con gli altri. Non ci si limita a cercare e a mettere insieme informazioni, significati, idee, si costruisce con gli altri la propria storia e il proprio percorso (crowd caring).
3. Più vicina al consulto clinico, la crowd medicine che prevede l’interazione virtuale tra un paziente e una comunità di medici che consigliano, orientano e, talvolta, formulano ipotesi diagnostiche. L’esempio migliore è medicitalia.
4. Più sbilanciata verso la formula crowd, la proposta dalla start up californiana crowmed. La comunità è formata da pazienti in cerca di una diagnosi e da “medical detective”, pronti a offrire ipotesi e idee da seguire per raggiungere l’obiettivo. I medical detective possono essere professionisti sanitari, ma anche altri pazienti o chiunque pensi di poter fornire un contributo. Sistemi articolati di giudizio, ranking e moderazione costruiscono gerarchie di importanza e affidabilità. Il sistema premiante è associato anche a meccanismi di incentivazione economica. E’ un primo tentativo strutturato di diagnosi collettiva che valorizza non solo la condivisione del sapere medico, ma anche di chi si sente esperto e vuole offrire ad altri questa esperienza.
Qualunque sia la forma che assume, nella crowd medicine il paziente crowdhero si autocolloca al centro e si appropria delle leve e dei percorsi decisionali. Molti i rischi: la delegittimazione della pratica e del sapere del medico, il proliferare dell’ipocondria collettiva, la rinuncia alla privacy come bene prezioso e da tutelare, un allarme sociale crescente, il dominio occulto dei primi 10 risultati su google, il decrescere dell’aderenza terapeutica, la tendenza all’autodiagnosi.
La sfida è una nuova alleanza terapeutica che rinunci alla relazione gerarchica di saperi e poteri tra medico e paziente e coinvolga i diversi attori in un percorso collaborativo. La medicina narrativa può offrire gli strumenti per portare la crowd medicine nella pratica clinica. Come? Fornendo le metodologie per la co-costruzione della migliore storia di cura possibile.
La storia di cura presidia almeno tre dimensioni fondamentali:
1. Perché sto male? Un momento critico è il passaggio dal problema alla malattia, o la scoperta della malattia, se asintomatica. In una storia di cura appropriata ed efficace, questo processo non si riduce alla diagnosi. Le ‘cause mediche’ del problema devono poter dialogare, incontrarsi, scontrarsi con le cause percepite. La storia di cura cerca di ricostruire un senso e un significato alla trasformazione di un problema in una malattia, o alla normalizzazione non patologica di un problema, oppure ancora all’identificazione di una malattia invisibile e priva di esperienza diretta. Troppo spesso il passaggio da sano a malato o da presunto malato a sano è gestito frettolosamente dai medici. In questo passaggio si annidano i rischi ipocondriaci o il canto delle sirene del “naturale” e dell’autodiagnosi.
2. Come sto male? Le categorie e le evidenze mediche devono essere integrate con i sintomi e l’impatto della malattia percepiti dal soggetto specifico. La semeiotica medica non esaurisce l’intera gamma di sintomi e segni della semiotica soggettiva del singolo individuo. Così come l’impatto fisico della malattia non esaurisce l’impatto sull’identità e la qualità di vita.
3. Come mi curo? La precision medicine non può essere solo genomica. Dovrà sempre più ancorarsi all’identità corporea, personale, sociale, culturale, relazionale, affettiva, di un soggetto specifico. Le scelte terapeutiche devono integrare le conoscenze, gli obiettivi e le aspettative del soggetto. La storia di cura può essere lo strumento di questa personalizzazione. Una storia che integra le terapie, le chirurgie, la riabilitazione con l’impatto effettivo sulla persona con una malattia. Una storia di cura che governa e finalizza le trasformazioni sistemiche del corpo, degli affetti, delle relazioni, dei ruoli che la cura genera. All’appropriatezza e all’efficacia della terapia si associa l’appropriatezza e l’efficacia della storia che contribuisce a individuare la cura e a raccontarla.
La “storia di cura” usa linguaggi e metafore che offrono al paziente il senso del suo percorso e lo immunizza semanticamente rispetto a narrazioni e terapie alternative. Una storia di cura efficace può trasformare anche la caring community online in un alleato, piuttosto che un competitor del team curante. Il paziente sarà infatti motivato a farla propria e a condividerla con altri pazienti, favorendo un passaparola positivo sulla propria esperienza e sulla relazione medico-paziente.
La medicina narrativa può portare la crowd medicine nella pratica clinica ma il processo è incompleto se la logica crowd non arriva a contaminare il sistema sanitario nel suo complesso. La sfida è accettare possibilità molteplici di produzione di dati e significati, dai trial al real life, dal medico al paziente esperto, dal team curante, alla caring community. Servono modelli per la validazione, inclusione, e integrazione di una molteplicità di dati e storie possibili. Il Fascicolo Sanitario Elettronico può essere l’occasione e lo strumento per la costruzione di questi modelli. Non dovrebbe essere un puro repository interoperabile di diagnosi, test e trattamenti. Dovrebbe poter accogliere la storia di cura e cioè integrare i diversi punti di vista in un hub che diventi uno strumento operativo di crowd medicine tra la persona, i suoi network, le sue fonti, i suoi significati e il sapere e le pratiche mediche. Il paziente in cerca di una diagnosi in rete ottiene tre suggerimenti da tre diversi medical detective? Li inserisce nell’hub e il medico può ricavarne degli spunti o può dimostrare che sono totalmente infondati. Il medico descrive sintomi che il paziente non riconosce? Il paziente li può integrare con descrizioni online che secondo lui rispecchiano esattamente quello che sente. O ancora MMG e specialisti possono interagire intorno alla storia del paziente, favorendo la continuità assistenziale. E’ un obiettivo percorribile? Potenzialmente sì. Da gennaio 2016 Provincia autonoma di Trento, Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna e Valle D’Aosta partecipano alla realizzazione di una soluzione federata di Fascicolo Sanitario Elettronico. Nella descrizione del Fascicolo dell’Emilia-Romagna troviamo una bella definizione:”L’FSE cresce con te nel tempo: si auto-alimenta, conserva e organizza la raccolta completa della storia sanitaria della persona”. Quasi tutti i fascicoli prevedono un taccuino o diario personale in cui inserire in modo libero altre informazioni, oltre quelle strettamente cliniche. Il rischio è che questa apertura narrativa si perda o resti marginale. Il Fascicolo Sanitario Elettronico può diventare un vero veicolo di innovazione se risponde all’obiettivo ben identificato dal progetto TreC della Provincia autonoma di Trento di “studiare i mutamenti nelle relazioni tra cittadini e operatori sanitari che derivano dalla introduzione di nuove tecnologie della comunicazione”. Dal fascicolo come repository al fascicolo come crowd medicine, forse oggi è possibile.